Rinfrescare la pelle del viso con detergenti non aggressivi, applicare un dermocosmetico funzionale che possa spegnere le infiammazioni e soprattutto massaggiare bene le creme per farle assorbire prima di indossare la mascherina protettiva necessaria per proteggersi dal Sars Cov 2.
Sono queste le semplici regole da attuare prima di “armarsi” della mascherina protettiva (Ffp2, chirurgica o di stoffa) e aiutare la propria pelle quando si soffre acne, rosacea o altre malattie della cute. Consigli che arrivano dal 94esimo Congresso nazionale della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse, quest’anno in versione digitale dal 3 al 6 novembre.
“La mascherina protettiva – ha spiegato il Professor Giuseppe Monfrecola, Università di Napoli Federico II – produce un microambiente ovviamente diverso rispetto alla cute libera, ma questo non vuol dire che quanti soffrono di acne, rosacea o altre malattie della pelle non debbano metterla, anzi devono indossarla con tranquillità. Bisogna solo fare attenzione all’igiene e ad usare i giusti prodotti. In particolare – aggiunge – occorre prestare maggior cura nello spalmare i prodotti utilizzati facendoli ben assorbire. In caso contrario si crea una doppia copertura: quella della crema e quella della mascherina che produrranno inevitabilmente sofferenza alla cute. Fatta questa operazione indossiamo la mascherina e stiamo tranquilli”.
Se il messaggio va ad una larga fascia di popolazione italiana – pensiamo che l’acne interessa l’80% dei soggetti di età compresa tra i 10-12 fino ai 35, in totale circa 4 milioni di persone, e la rosacea, malattia infiammatoria cronica, circa 3milioni e 200mila persone tra i 20 e i 55 anni – quali indicazioni bisogna dare a chi ha invece una cute sana?
“Le mascherine – prosegue il Prof. Monfrecola – non danno disturbi alle persone con una pelle sana che le portano peraltro per tempi spesso contingentati. Diverso, naturalmente, è il caso di medici, infermieri e del personale che lavora nei reparti Covid: tutti abbiamo visto i segni sul viso causati dall’indossarle per ore e ore. Per tutti gli altri non ci sono controindicazioni né possibili sensibilizzazioni. Anzi paradossalmente la mascherina tende ad idratare la pelle in quanto con il proprio respiro si crea un microambiente caldo umido. Ad oggi quindi c’è solo un rischio: non metterla!”
Non solo mascherine protettive, ormai lo sappiamo tutti, una delle armi per contrastare il Sars CoV 2 è detergere le mani con attenzione. Un gesto che ripetiamo sempre più frequentemente nell’arco della giornata entrando e uscendo da una farmacia, un negozio, un bar, un supermercato e utilizzando ogni volta un detergente antimicrobico diverso.
E allora cosa fare per proteggere mani e unghie? “Le unghie e la pelle delle mani in questo periodo sono sottoposte ad un maggiore stress – spiega la Professoressa Bianca Maria Piraccini, Direttrice della Scuola di Specializzazione di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli studi di Bologna – perché se una persona adulta lava le mani dalle 6 alle 10 volte in condizioni normali, oggi tendiamo a duplicare questo numero. Inoltre, solo una su 10 usa un detergente leggero e solo una su 30 usa una crema idratante su pelle e unghie dopo la detersione. Inoltre, quando entriamo nei negozi, nei bar usiamo sostanze chimiche, gel detergenti e antimicrobici e questo accade almeno 20-30 volte al giorno. Chi lavora negli ospedali o negli ambulatori ancora di più. La conseguenza è una forte disidratazione sulla cute. Il primo consiglio è privilegiare l’acqua e il sapone rispetto al gel sanificante. Ma poiché entrambi disidratano la pelle e indeboliscono le unghie, l’incidenza di dermatite irritativa può aumentare. E con l’inverno e l’arrivo del freddo il tutto peggiora. Per cui il consiglio è lavarsi sempre la mani con attenzione avendo però cura di usare sempre una crema idratante dopo la detersione”.
Il peeling al viso, uno degli atout più gettonati sul fronte dei trattamenti estetici in grado di aiutare la pelle ad accelerare il rinnovo cellulare recuperando così luminosità e morbidezza, diventa ora una carta importante nel trattamento terapeutico di alcune delle condizioni più “critiche” per la cute. Sicuro e poco invasivo, in grado di attenuare in “modalità soft” rughe e antiestetiche macchie scure che con il tempo compaiono sulla pelle, può diventare un’arma contro i danni da photoaging e anche contro quelle condizioni precancerose che, a volte, se la prevenzione fallisce, possono trasformarsi in vere e proprie neoplasie cutanee. Fondamentale però è la scelta e il dosaggio delle sostanze attive impiegate per i trattamenti. E i registi in grado di saper miscelare e misurare gli agenti chimici da utilizzare, personalizzando i trattamenti per ogni differente esigenza, sono i dermatologi esperti. Guai quindi ai “fai da te” che possono trasformarsi in veri e propri boomerang per la nostra pelle.
Dal 94esimo Congresso nazionale della SIDeMaST, la Società Italiana di Dermatologia Medica, Chirurgica, Estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse, quest’anno in versione digital dal 3 al 6 novembre, arrivano le indicazioni da seguire per utilizzare il peeling chimico in maniera sapiente e con una veste rinnovata.
Dall’inglese “to peel”, letteralmente pelare, il peeling serve ad accelerare il rinnovamento cellulare attraverso l’uso di un agente chimico applicato sulla cute che, attraverso la rimozione delle cellule morte dello strato corneo, è in grado di stimolare il turnover cellulare e indurre una reazione infiammatoria a livello del derma. In questo modo, attiva la produzione di collagene e di sostanze fondamentali: “Il fotoinvecchiamento, in inglese photoaging – spiega Nicola Zerbinati, Professore in dermatologia Università di Varese – è un particolare stato d’invecchiamento cutaneo causato dal danno cronico provocato dai raggi ultravioletti e da esposizione al sole. Quest’ultima, oltre a sviluppare endorfine per la maggior parte di noi, può nel lungo periodo, indurre veri danni al Dna delle cellule della pelle che si sommano a quelli dell’invecchiamento biologico. Questa condizione oltre all’invecchiamento più rapido della pelle può portare – attraverso una alterazione della distribuzione e morfologia del collagene che porta alla formazione delle tanto odiate rughe accompagnate da perdita di elasticità, pelle secca e ruvida, presenza di capillari dilatati su guance, desquamazione, macchie solari – anche condizioni precancerose che, se la prevenzione fallisce, a volte possono trasformarsi in vere e proprie neoplasie cutanee”.
Nella pratica dermatologica ambulatoriale, spiega il Professor Zerbinati, i peeling prima relegati a pratiche con puro indirizzo estetico, oggi vengono quindi impiegati anche nel trattamento terapeutico di alcune delle condizioni citate: “Fondamentale, naturalmente, è la scelta e il dosaggio delle sostanze attive impiegate per l’aggressione chimica e la conseguente attivazione di quei meccanismi riparativi che portano al ripristino delle condizioni fisiologiche cutanee”. In questa ottica anche il veicolo per migliorare le penetrazioni e le biodisponibilità delle molecole attive assume perciò un aspetto centrale nella organizzazione dell’approccio terapeutico: “L’idea – conclude – è quella di modulare e sinergizzare vecchie e nuove molecole (arbutine-alfa idrossiacidi, betaidrossiacidi, retinoidi) in un nuovo supporto chimico dando spazio alla vena ‘galenica’ del professionista dermatologo che scegliendo e miscelando gli attivi, alla luce della condizione clinica di ciascun paziente, è in grado di promuovere alta efficacia clinica con un ottimo profilo di sicurezza con il proprio trattamento di peeling”.