“Fumo di sigaretta, sostanze derivate da coloranti e vernici, inquinamento ambientale – dichiara Walter Artibani, professore di Urologia e Segretario generale della Società Italiana di Urologia (SIU) – sono tra i principali e noti fattori di rischio del tumore alla vescica. Patologia che, secondo i dati AIRTUM (Associazione Italiana Registro Tumori) coinvolge 260.000 italiani: 212.000 uomini, in cui rappresenta il quarto tumore per diffusione con circa 21.500 nuovi casi attesi per il 2018, e 57.000 donne fra le quali l’incidenza è sensibilmente minore con ‘solo’ 5.600 nuove diagnosi per lo stesso anno. Il fumo, tra i vari fattori di rischio, resta comunque il prioritario tanto da potere indurre un aumento delle probabilità di sviluppo di malattia, nelle donne fumatrici, di 4-5 volte superiore rispetto a coloro che non lo sono. Insorgenza che viene sollecitata dal contatto tra i cataboliti della nicotina con l’epitelio di rivestimento delle vie urinarie, l’urotelio”.
Sebbene l’incidenza del tumore vescicale sia più contenuta nella donna, la diagnosi resta più difficile e complessa. “Spesso la ‘scoperta’ è tardiva – spiega il professore – a causa di fattori confondenti, in primo luogo la sottostima sia da parte della paziente che del medico delle cistiti emorragiche, le quali invece, così come qualsiasi altro episodio di ematuria macroscopica, anche episodico, non vanno mai banalizzate. Anzi, sono meritevoli di approfondimento diagnostico con ecografia addominopelvica, citologie urinarie e cistoscopia a seconda dei casi. Ovvero indagini che permettono di escludere la presenza di un tumore vescicale e/o di arrivare a una diagnosi precoce cui è legata una prognosi migliore e maggiori possibilità terapeutiche, anche conservative. Oltre alle cistiti emorragiche non vanno sottovalutati i disturbi persistenti di ‘sindrome da urgenza’ che aumentano il bisogno ‘impellente’ di urinare spesso”.
Il fumo non è responsabile solo dell’insorgenza dl tumore alla vescica, mette a rischio anche l’intero apparato uro-genitale, in particolare le vie urinarie superiori reno-ureterali. “I tumori uroteliali – aggiunge Artibani – possono colpire anche le vie urinarie superiori, quindi il bacinetto renale, calici ed uretere. Non si tratta di tumori ereditari, tuttavia esiste una situazione nota familiarità che lega la presenza in più membri della stessa famiglia affetti da carcinoma colonrettale alla maggiore probabilità di sviluppo di tumori uroteliali delle vie urinarie superiori, secondo quella che clinicamente viene definita ‘sindrome di Lynch’. Dunque in caso di ematuria e/o cistiti emorragiche in donne già trattate per carcinoma colonrettale, la valutazione diagnostica deve necessariamente essere tempestiva ed approfondita”.
Esistono diverse tipologie di tumori vescicali e prima si riconoscono migliore sarà anche la possibilità di cura. “Vi sono due grandi categorie di tumori vescicali – chiarisce il segretario generale SIU – quelli superficiali che non infiltrano in profondità la parete vescicale, e quelli infiltranti che coinvolgono in profondità la parete, incluso il tessuto muscolare. A seconda della tipologia di malattia anche il trattamento sarà differente: le forme superficiali sono piuttosto ‘noiose’, perché tendono a recidivare richiedendo, quindi, valutazioni e trattamenti plurimi nel corso degli anni, ma non pericolose in quanto, se ben trattate, raramente progrediscono. Di norma per la cura delle forme superficiali si ricorre a metodiche non invasive con resezioni endoscopiche seguite, su necessità, da instillazioni vescicali con chemioterapici a base di mitomicina o immmunoterapia. Mentre le forme infiltranti muscolo invasive, piuttosto aggressive, richiedono trattamenti tempestivi, invasivi ed integrati. La terapia standard prevede l’asportazione della vescica e dei linfonodi e quindi una derivazione urinaria, o esterna (la cosiddetta stomia con sacchettino) o mediante la ricostruzione di una neovescica. Ogniqualvolta possibile è indicata e vantaggiosa una chemioterapia sistemica preoperatoria neoadiuvante a base di cisplatino o in casi selezionati la terapia trimodale che consiste nella resezione endoscopica massimale associata a chemioterapia sistemica e radioterapia. Quest’ultima soluzione, di cui vi sono diverse evidenze di efficacia, va valutata da un team multidisciplinare formato da un urologo, oncologo e radioterapista. Infine, recentemente si sono aperte nuove speranze di cura anche per i tumori vescicali metastatici nei quali la moderna immunoterapia, in casi selezionati, sembra dare risultati prima insperati”.
La prevenzione è possibile e si avvale dell’astensione al fumo, ovvero dell’abolizione del (principale) fattore di rischio. “Chi smette di fumare – conclude Artibani – azzera il rischio o ritorna ad avere le medesime probabilità di sviluppo di un tumore alla vescica di un non fumatore nell’arco di 15 anni. Questo tempo di ‘recupero’ non breve la dice lunga sui danni provocati dalla sigaretta. È indubbio che il tabagismo sia in diminuzione soprattutto nel sesso maschile, mentre è apprezzabile una tendenza maggiore che nel passato tra le donne, specie le giovani richiamando alla necessita di forti e mirate campagne di sensibilizzazione contro il fumo di sigaretta”.