Due sorelle gemelle in contrasto tra loro, come due pianeti opposti nello stesso emisfero emotivo. Anemone (Nancy Brilli), sensuale e irriverente, che aderisce ad ogni dettaglio della vita con vigoroso entusiasmo, e il suo opposto Ortensia (Chiara Noschese), uccello notturno, irsuta e rabbiosa creatura in cerca di una perenne rivincita. Le due per un gioco scenico si rivolgono alla stessa terapeuta dell’occulto e svuotano il serbatoio di un amore solido come l’odio. Ed è come carburante che si incendia provocando fiamme teatrali ustionanti, sotto una grandinata di risate.
In realtà la Manola del titolo, perennemente invocata dalle due sorelle, interlocutore mitico e invisibile, non è altro che la quarta parete teatrale sfondata dal fiume di parole che Anemone e Ortensia rivolgono alla loro squinternata coscienza attraverso un girotondo di specchi, evocazioni, malintesi, rivalse canzonatorie. Una maratona impudica e commovente, che svela l’intimità femminile in tutte le sue scaglie. Come serpenti storditi le due finiranno per fare la muta e infilarsi nella pelle dell’altra, sbagliando per l’ennesima volta tutto. Perché un equivoco perenne le insegue nell’inadeguatezza dei loro ruoli esistenziali. Un testo sfrenato che prevede due interpreti formidabili per una prova circense senza rete. Ma che invoca l’umano in ogni sua singola cellula teatrale.
Appunti per una messa in scena di Leo Muscato
Manola è un testo pirotecnico, un flusso di parole e di pensieri che catapultano lo spettatore da una parte all’altra della propria immaginazione; è un blob di discorsi a metà strada tra la follia tragicomica di Beckett e l’ironia sferzante dei fratelli Marx.
Protagoniste sono Anemone e Ortensia, due gemelle alquanto anomale. Per una manciata di secondi sono nate in due giorni diversi, un giovedì 16, l’altra venerdì 17. Forse è anche per questo che le loro personalità, i loro caratteri hanno assunto dimensioni opposte. Una è libera, aperta, positiva e propositiva; l’altra è oppressa, chiusa, negativa e insicura; una ignorante, l’altra coltissima; una piuttosto superficiale, l’altra eccessivamente ideologizzata; una veste sempre di rosso, l’altra solo di nero; una punta tutto sulla sua bellezza, l’altra si sente sempre e solo un “ciofegone”.
Si detestano con tutte le forze, ma non riescono a fare a meno l’una dell’altra. Non si scambiano una parola; entrambe si rivolgono a una certa Manola, forse una maga, un’analista, una divinità ultraterrena, un’amica immaginaria, o soltanto la loro coscienza.
Attraverso monologhi incrociati assurdi ed esilaranti prendono forma i loro tragicomici pensieri, paure, ricordi, invenzioni, che sembrano prefigurare un futuro con le stesse dinamiche relazionali del loro passato. Ma a un certo punto nella loro vita compare un uomo multiforme, che arriva a stravolgere le loro esistenze, sovvertendo tutte le loro piccole grandi certezze.
Da alcune cose che dicono si evince che le due vivano nel vecchio albergo ormai in disuso ereditato dai loro genitori. Dormono sempre nella stessa camera e nello stesso letto, come quando erano bambine. Ma adesso questa stanza è invasa da una massa informe, molliccia e schifosa, una melma che lentamente si sta mangiando tutta la stanza. Ma Anemone e Ortensia sono due fiori che sanno resistere alle brutture del mondo che le circonda, e sanno renderlo più bello.
Note su regia
La regia ha messo i personaggi in una stanza d’albergo distrutta, opprimente, invasa da qualcosa, da un magma di detriti, un blob che è entrato da finestre e aperture, includendo i reperti di una vita precedente. Anemone e Ortensia, le due gemelle in contrasto fin da prima della nascita, una fiore sgargiante che sboccia in pieno sole, l’altra pianta senza petali favorita dall’ombra, si muovono nella catastrofe avvenuta come se fosse normale, ormai abituate ad arrampicarsi con disinvoltura sul caos, a sopravvivere. Si raccontano a Manola, terapeuta dell’occulto, che altro non è se non il pubblico, dal quale pretendono attenzione e comprensione. Il linguaggio è sfrenatamente comico, colto e gergale, alto e basso si alternano sfrenatamente come nella realtà, per raccontare una tragedia contemporanea, in chiave di commedia esilarante.
CINETEATRO ACACIA
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