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Martedì 21 maggio, alle ore 11 nella sede dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale” di Palazzo Corigliano, l’artista e filmaker libanese Akram Zaatari (1966) presenta le opere e i temi di “Father&Son”, la sua prima mostra italiana in corso presso la Thomas Dane Gallery, in Via Crispi. Introducono il Rettore Roberto Tottoli e la direttrice del Daam Roberta Giunta. Discutono Francesca Bellino e Maria De Vivo.
Più di altri, “Father&Son” è un progetto stratigrafico e multiforme, frutto di un lungo lavoro di ricerca, che origina dalla ricostruzione degli scavi archeologici ottocenteschi della necropoli di Sidone/Ṣaydā (sud del Libano) che portarono al rinvenimento di 19 sarcofagi con il successivo dislocamento e la ricollocazione dei sarcofagi dei re fenici Eshmounazar II e di Tabnit esposti rispettivamente presso il Louvre di Parigi e il Museo Archeologico di Istanbul.
Zaatari utilizza la documentazione e le fotografie degli scavi condotti nel 1887 dal pittore e archeologo ottomano Osman Hamdi Bey, inviato dal sultano ‘Abdul Hamid Khan II a Ṣaydā, a dirigere la missione e, insieme all’ingegnere capo della vilayet, a coordinare i lavori preparatori, l’estrazione dei sarcofagi e il loro trasporto a Istanbul via mare.
Il luogo e l’oggetto di indagine scelti da Zaatari non sono casuali. L’artista guarda retrospettivamente alla storia della sua città usando la documentazione di questo scavo archeologico come laboratorio per misurare e indagare relazioni primarie con la storia e l’identità della propria terra.
Sidone, città natale di Zaatari, è stata una capitale fenicia. A lungo sotto l’orbita egizia, fu per vari secoli insieme a Tiro un importante porto mercantile, un centro di lavorazione del murice e luogo di commercio del legno di cedro. Passata in seguito con alterne fortune sotto i più importanti governi del Medio Oriente, nel periodo ottomano Sidone perse progressivamente la sua importanza in favore di Beirut. Le contese delle diverse fazioni in guerra nel corso della guerra civile libanese (1975-1990) marginalizzarono ulteriormente la città lasciando profondi traumi nella memoria dei suoi cittadini.
La mostra presenta opere realizzate negli ultimi vent’anni, a partire dal video Ain el Mir (2002), in cui l’artista cerca una lettera sepolta che non ha mai raggiunto la sua destinazione; “oggetti informativi”, come il modello in scala ridotta del blocco di marmo che copriva il sarcofago di Tabnit e la gru con i cavi continui utilizzati per l’estrazione dei sarcofagi; oggetti che ricostruiscono storie intorno a tracce lasciate da antiche fotografie; dipinti su antiche carte raffiguranti il Mediterraneo e le terre bianche intorno come luogo della disseminazione delle lettere fenice, aramaiche, arabe o come spazio della separazione e della dislocazione dei sarcofagi; otto delle fotografie scattate da Hamdi Bey durante lo scavo, sulle quali Zaatari è intervenuto creando una luminescenza auratica.
Il ruolo svolto da Osman Hamdi Bey e le rotte opposte intraprese dai sarcofagi nelle due diverse spedizioni, diventano la lente attraverso cui guardare complessità passate e presenti derivanti dagli scambi e dai traffici di antichità avvenuti nel bacino del Mediterraneo e l’incipit per costruire nuove narrazioni e forme alternative di restituzione del patrimonio culturale.
Akram Zaatari vive e lavora a Beirut, in Libano. Tra le mostre recenti ricordiamo: Against Photography. An Annotated History of the Arab Image Foundation, Sharjah Art Foundation, Sharjah, UAE (2019); The Script, New Art Exchange, Nottingham (2018); The Fold, Contemporary Arts Center, Cincinnati (2018); Letter to a Refusing Pilot, Moderna Museet, Malmö (2018); Against Photography. An Annotated History of the Arab Image Foundation, MACBA, Barcellona,(2017) riproposta presso K21, Düsseldorf (2018); Museum of Modern and Contemporary Art, Seoul, Corea (2018); Double Take: Akram Zaatari and the Arab Image Foundation, National Portrait Gallery, Londra (2017); This Day at Ten, Kunsthaus Zürich, (2016); Unfolding, Moderna Museet, Stoccolma (2015); Akram Zaatari: The End of Time, The Power Plant, Toronto (2014); Padiglione Libanese alla LV Biennale di Venezia (2013); Projects 100: Akram Zaatari, Museum of Modern Art, New York (2013); This Day at Ten / Aujourd’hui à 10, Magasin Centre National d’Art Contemporain de Grenoble (2013); Tomorrow Everything Will be Alright, MIT List Visual Arts Center, Cambridge (2012); The Uneasy Subject, MUAC, Messico (2012); Museo de Arte Contemporáneo de Castilla y Leon (2011).
Inoltre, le opere di Zaatari hanno partecipato alla Biennale di Sharjah 14, Sharjah, Emirati Arabi Uniti (2018); alla 12° Biennale di Istanbul (2011); alla Triennale di Yokohama (2014); alla LV (2013) e LII (2007) Biennale di Venezia; dOCUMENTA (13), Kassel (2012); 27a Biennale di San Paolo (2006); 6a Biennale di Gwangju, Corea del Sud (2006); e alla 15a Biennale di Sydney(2006).
Le opere di Zaatari sono presenti nelle collezioni del Centre Pompidou, Parigi; Fondazione Louis Vuitton, Parigi; Bristol Museum & Art Gallery, Bristol; Tate Modern, Londra; MCA Chicago; Guggenheim Museum, New York; MoMA, New York; Hammer Museum, Los Angeles e Walker Art Center, Minneapolis.
Il progetto Father and Son è anche il progetto di dottorato in Arte dell’artista presso l’ENSAPC e l’Università Cy, in Francia, diretto da François Pernot, Alejandra Riera e Bénédicte Savoy. È stato in parte sostenuto da: The EUR Humanities, Creation, Heritage (PSGS HCH), “Investissement d’Avenir ANR-17- EURE-0021” AFAC, Fondo Arabo per le Arti e la Cultura.