Autonomia differenziata, Ciccone (UilP): Cristo non può continuare a fermarsi a Eboli

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Biagio Ciccone, segretario della Uil Pensionati Campania, ricorre all’immagine evocativa che Carlo Levi usò per dare il titolo al romanzo “Cristo si è fermato ad Eboli” per esprimere le proprie perplessità sul DDL Calderoli.

Dove si fermerà Cristo con l’autonomia differenziata?

Cristo non può continuare a fermarsi ad Eboli. Alla luce degli ultimi tragici fatti occorsi ai lavoratori, lo Stato non può continuare a delinearsi come un’entità astratta, incomprensibile e minacciosa, ma ha il dovere di risolvere la cosiddetta questione meridionale perché quello che si ritiene essere un problema del Mezzogiorno, in realtà è un problema dello Stato. Lo ha capito anche l’Europa che ha imposto investimenti nel Mezzogiorno per creare le necessarie infrastrutture che accorcino le distanze e prevengano i disagi.  

L’Italia è una e come tale, unita, deve andare verso una crescita e uno sviluppo univoco e onnicomprensivo. L’Italia degli staterelli, soprattutto in un processo di globalizzazione a livello mondiale, non è pensabile. L’autonomia differenziata è il cavallo di Troia con il cui ingresso il Paese rischia di uscirne irrimediabilmente distrutto.

Che fine ha fatto la clausola di salvaguardia originariamente prevista?

La clausola di salvaguardia di cinque miliardi non ha mai visto la luce. Il ministro dell’Economia ha dichiarato che il DDL Calderoli si fa senza impegno economico per lo Stato. Nel solco di una tradizione tipicamente italiana di approvare riforme a costo zero, il divario tra il Sud e le aree economicamente più avanzate del Paese è destinato a crescere, con inevitabili conseguenze negative che ricadranno sui cittadini e sul principio di uguaglianza, per non parlare degli effetti sul sistema delle imprese. Non esistono buone riforme senza investimenti. Si deve accettare che le riforme senza soldi non funzionano.

Di chi è la responsabilità?

È tutto vero ciò che si ripete come un mantra da più parti: il Sud deve imparare a camminare sulle sue gambe, deve imparare a sfruttare le risorse sterminate che possiede, rendendosi produttivo e autosufficiente. Abbandonare clientelismo e caporalato e viaggiare, soprattutto sul piano del lavoro, percorrendo la strada della legalità e del rispetto delle regole. Ma siamo veramente sicuri che queste storture in Italia siano solo una prerogativa del Meridione e che la sanità a pezzi in regioni come la Campania, la Sicilia e, peggio ancora, la Calabria, sia l’esclusiva conseguenza di scelte scellerate delle sole politiche locali?

La pandemia ci ha insegnato, ad esempio, che ciò che credevamo reale, in termini di sistema sanitario d’avanguardia in certe zone del paese, in realtà era una fake news, con fiumi di denaro che partivano da Roma e finivano dritti nelle casse di Major private della Salute. Il problema è che, per quanto non vogliamo accettarlo, l’Italia è unita anche negli errori e nell’autoreferenzialità decennale.

Ma in fondo, il punto essenziale è: chi paga?

Pagano i fragili. E oggi i più fragili sono anziani e immigrati. Gli anziani che, dopo una vita di lavoro, vivono ai margini della povertà e per sottoporsi a una visita medica devono prenotare, con strumenti digitali sempre più complessi e lontani dalla loro storia e cultura, prima dell’esaurimento dei tetti di spesa se vogliono accedere a servizi gratuiti; gli immigrati che, per sopravvivere e nutrire i propri figli, accettano di vivere e morire da schiavi del terzo millennio. La UIL che da anni ha intrapreso una politica di intervento sindacale che favorisce l’obiettivo zero morti sul lavoro, sarebbe pronta a farsi garante e interlocutore a tutela di queste categorie sociali, sostenendo iniziative come il referendum e aprendo al dialogo e allo scambio di idee, come da sua cultura e tradizione. E la UIL Pensionati è pronta a fare la sua parte.

Ma come fa un sindacato a tutelare un lavoratore che è uno schiavo, un lavoratore invisibile?

La risposta va cercata nei presidi sindacali territoriali, negli interventi di controllo e vigilanza. Laddove lo Stato è cieco, il Sindacato apre gli occhi, li sbarra e traduce ciò che vede in idonei interventi a tutela di chi tutele non ne ha più o non ne ha mai avute. Il punto è trovare una idonea strategia comune perché l’Italia tutta cresca e vada nella medesima direzione. L’arretratezza di una parte del tutto trascina il tutto verso il basso. In un mondo votato alla globalizzazione, l’Italia, già piccola, non può permettersi di dividersi, mostrandosi come un nano politico ed economico, incapace di affrontare le sfide del nostro tempo. La Storia ci deve pur aver insegnato qualcosa! Non può continuare a trattarsi di assistenzialismo ma, senza scomodare il principio costituzionale di uguaglianza sostanziale, davvero qualcuno può pensare che isolando una parte del paese, l’altra possa crescere? John Donne sosteneva che nessun uomo è un’isola, bisogna ricordarsene, contribuendo al bene del Paese attraverso la partecipazione. È necessaria un’Italia unita per la crescita e lo sviluppo del Paese e per il benessere delle future generazioni. Noi sappiamo che la vittoria è dei perseveranti e lotteremo con tutte le nostre forze, magari ripartendo proprio da Eboli.

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