In Italia oltre 1,5 milioni di lavoratori in nero, la denuncia dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

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Oltre un milione e mezzo di lavoratori completamente in nero a fronte di 5,7 milioni di aziende attive sul territorio italiano. Con un importo sottratto alle casse dello Stato che si attesta sui 20 miliardi di euro. E’ quanto emerge da una stima della Fondazione studi dei consulenti del lavoro che ha rielaborato i dati 2017 – primo anno di attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – relativi al lavoro sommerso.

E’ stato cosi stimato il numero di lavoratori ‘in nero’ presenti ogni anno in Italia con i conseguenti oneri previdenziali e fiscali sottratti alle casse dello Stato. In Italia, ricordano infatti i consulenti, sono presenti nel settore privato circa 5,7 milioni di aziende attive compreso il settore agricolo.

Rielaborando i precedenti dati ispettivi forniti dall’Ispettorato Nazionale, nel 2017 il numero di aziende con qualche forma di irregolarità, spiegano i consulenti, dovrebbe attestarsi attorno a circa 3,7 milioni. Circoscrivendo l’analisi al lavoro sommerso, le ispezioni svolte hanno fatto emergere nel 2017 48.073 lavoratori in nero a fronte di 160.347 aziende ispezionate, ossia un lavoratore in nero per ogni tre aziende ispezionate.

A questo dato è stato applicato, spiegano i professionisti, un correttivo prudenziale riferito ad uno stock di aziende nelle quali per le loro caratteristiche e settore di appartenenza è ridotto (se non addirittura eliminato) il rischio di utilizzo del lavoro sommerso. Sulla base di queste informazioni, è possibile presuntivamente stimare che i lavoratori ‘in nero’ in Italia sul totale delle aziende attive, nel 2017 è di 1 milione e 538 mila unità.

Secondo i consulenti del lavoro il dato è tendenzialmente in riduzione di circa 200.000 unità grazie anche agli interventi mirati della vigilanza dell’Ispettorato, che ha potuto applicare il nuovo regime sanzionatorio sul caporalato. Il fenomeno, tuttavia, rimane ancora rilevante poiché ogni tre aziende ispezionate si riscontra un lavoratore ‘in nero’ (il tasso è 2,9). L’evasione fiscale e previdenziale per il lavoro sommerso, stima la Fondazione Studi, è ancora consistente e si attesta ogni anno, infatti, attorno a 20 miliardi di euro.

I consulenti del lavoro spiegano, infatti, che “in media, ogni anno un dipendente lavora mediamente per 245 giornate di lavoro retribuite (fonte: Inps banche dati statistiche, www.inps.it anno 2016 dato più recente) e la retribuzione media giornaliera stimata è pari a 84,53 euro al netto di trattamenti retributivi variabili (fonte: Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Inps 2016)”.

I consulenti quindi stimano una retribuzione annua corrisposta ai lavoratori sommersi e non assoggetta a oneri pari a 31,8 miliardi di euro. E con questi un mancato gettito previdenziale di 11,1 miliardi di euro, un mancato gettito fiscale (Irpef + add. Reg. e com.) pari a 8,1 miliardi e un mancato gettito Inail di 0,86 miliardi, arrivando appunto a circa 20 miliardi ‘evasi’.

I consulenti del lavoro ricordano che “nel corso 2017 delle 160.347 aziende ispezionate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, quelle risultate con qualche forma di irregolarità per almeno un rapporto di lavoro sono state 103.498, vale a dire il 64,54% delle aziende ispezionate. Il dato è in aumento di 1,53 punti percentuali rispetto all’anno 2016. Dunque, nel 2017 aumenta il rapporto delle aziende irregolari rispetto a quelle ispezionate. L’aumento della probabilità di individuazione di almeno un rapporto di lavoro irregolare è dovuta al miglioramento delle tecniche ispettive e della conoscenza del territorio da parte dei servizi ispettivi, anche supportati da una programmazione oculata delle mappe di rischio adottate dalla Vigilanza”.

“Le irregolarità -ricordano i consulenti del lavoro- possono riguardare sostanzialmente 3 fattori: forme di elusione previdenziale, assicurativa e fiscale (esempio, mancato assoggettamento a Inps, Inail e Irpef di parte della retribuzione corrisposta); lavoro parzialmente sommerso (rapporti avvianti in part-time che invece risultano a tempo pieno); lavoro completamente sommerso (lavoro nero)”.

Secondo i professionisti “molto interessanti risultano i risultati ottenuti dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro applicando l’appesantito quadro sanzionatorio penale in materia di caporalato. Nello specifico, nel 2017 si registrano il deferimento di n. 94 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali n. 31 in stato di arresto, e l’individuazione di n. 387 lavoratori vittime di sfruttamento. E il 2018 -aggiungono i consulenti del lavoro- si presenta con dati relativi ancor più incoraggianti. Per quanto riguarda infatti il primo semestre dell’anno in corso , si registrano il deferimento di n. 60 persone all’Autorità Giudiziaria, delle quali n. 1 in stato di arresto e 47 in stato di libertà, e l’individuazione di n. 396 lavoratori coinvolti. Sono, inoltre, stati adottati n. 9 provvedimenti di sequestro”.

Insomma, aggiungono i consulenti del lavoro, “una serie di interventi realmente pesanti e deterrenti, che indicano la corretta via da seguire per combattere tutte la fattispecie di sfruttamento del lavoro”.

Per i consulenti del lavoro “le cifre stimate dalla Fondazione Studi riportano l’attenzione sull’importanza strategica di un’incisiva azione di contrasto al lavoro nero che, non di rado, sfocia in fenomeni di caporalato diffuso – non solo in agricoltura – di cui i recenti fatti di Foggia sono solo quelli più eclatanti. E il prossimo incontro interministeriale, fissato dal Ministro Di Maio per lunedì 3 settembre proprio nel capoluogo foggiano, è un forte segnale di attenzione”. (AdnKronos)

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