L’Italia non è più un Paese per piccoli imprenditori? Imprese familiari, ditte, collaboratori e lavoratori in proprio continuano a sparire: dal 2007 al 2017 i lavoratori indipendenti sono diminuiti di 639mila unità (-11,1%), di cui oltre 100mila solo nell’ultimo anno. Una crisi occupazionale e sociale che rischia di rendere ancora più debole la ripresa dell’economia, e su cui è sempre più urgente intervenire.
I dati arrivano da un’analisi condotta dall’Ufficio Economico Confesercenti sulla base dei dati ufficiali Istat. Nell’universo dell’occupazione indipendente, a calare sono soprattutto i lavoratori in proprio (-465mila, -13%), ma anche i collaboratori (-218mila, -45%) ed i coadiuvanti familiari (-124mila, -29,7%). L’unica voce in crescita è quella dei liberi professionisti, che aumentano di 274mila unità (+24,3%) nel periodo, ma che non basta a correggere la flessione complessiva.
Il lavoro autonomo segna dunque un percorso controtendenza rispetto al complesso dell’occupazione. Nello stesso periodo, infatti, a livello globale si assiste ad un sostanziale incremento del numero di occupati: 768mila in più dal 2017 (+4,5%), per un totale di quasi 17,7 milioni. Una crescita dovuta al lavoro dipendente, che però si è accompagnata ad una ricomposizione interna: gli occupati “standard” sono diminuiti infatti di circa 2 milioni di unità, mentre i lavoratori con part-time involontario o a tempo determinato sono cresciuti di oltre 1,5 milioni.
“Da tre anni, lentamente, la nostra economia sta uscendo dalla crisi che in due ondate, tra il 2007 ed il 2013, ha colpito duramente i settori produttivi, le famiglie e le condizioni di vita dei cittadini”, spiega il Segretario Generale di Confesercenti Mauro Bussoni. “La crisi ha inciso diversamente e i suoi effetti negativi si faranno sentire ancora. Uno dei settori che ha subìto maggiori conseguenze negative e, se ci è permesso dire, un po’ in sordina rispetto ai clamori riservati ad altri, è stato quello del lavoro indipendente e delle piccole imprese familiari. L’occupazione dipendente ha segnato un moto di ripresa, anche grazie ai provvedimenti, condivisi dalle Associazioni di rappresentanza, tra cui Confesercenti, che si sono susseguiti nel tempo per incentivare sia forme di occupazione più flessibili, ma anche forme standard con benefici per le imprese che creavano nuova occupazione. L’universo variegato del lavoro indipendente, degli autonomi, dei piccoli imprenditori e coadiuvanti, invece, ha subìto e sta subendo una lenta ma costante emorragia, che ne sta riducendo il peso, senza ammortizzatori sociali o interventi di sostegno al reddito”.
Ed è proprio la mancanza di una rete di welfare a pesare più gravemente sul lavoro indipendente. Il calo del numero di occupati autonomi, infatti, si è accompagnato ad un progressivo impoverimento: a valori correnti, infatti, mentre i redditi lordi dei lavoratori dipendenti sono cresciuti complessivamente di 54 miliardi tra il 2017 ed il 2007, quelli degli “autonomi” (da noi stimati, in quanto non forniti direttamente dalla Contabilità nazionale, come avviene per quelli da lavoro dipendente) registrano due andamenti differenziati: una perdita di oltre 35 miliardi tra il 2007 ed il 2012 (il 7,3%) ed un recupero di poco più di 9 miliardi negli ultimi 5 anni. Il saldo, ovviamente resta ancora negativo ed il settore deve ancora recuperare 12,7 miliardi di euro per tornare ai livelli pre-crisi.
“La piccola imprenditoria ed il lavoro autonomo soffrono ancora le conseguenze della crisi e delle politiche di austerity che sono seguite”, sottolinea Bussoni. “La ripresa dei consumi di questi ultimi anni è stata troppo debole per recuperare il terreno perduto, e a questa si unisce una pressione fiscale il cui peso è proporzionalmente inverso alla dimensione di impresa. Una morsa che ha lasciato sul campo migliaia di lavoratori indipendenti, che hanno interrotto loro attività e non hanno potuto contare su alcuna forma di protezione sociale e di sussidio contro il rischio della disoccupazione. Un problema su cui è urgente intervenire. Innanzitutto, evitando di peggiorare la situazione e bloccando l’aumento IVA previsto per il 2019. Una stangata che brucerebbe oltre 23 miliardi di euro di consumi in tre anni e metterebbe una pietra tombale sulle imprese famigliari”.