Dalla Corte di Cassazione arriva una sentenza, già definita dalle opposizioni di “portata storica”, sul salario minimo. La Corte ammette l’esistenza del “lavoro povero” e stabilisce che il magistrato può individuare un “salario minimo costituzionale” che possa assicurare “una vita libera e dignitosa” al lavoratore. Il punto di riferimento è la Costituzione e in particolare l’articolo 36, nel quale è precisato che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro” e comunque “sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
“Il salario minimo per legge dimentica la contrattazione che ha dato luogo a una stagione importante di rinnovi”, il commento alla sentenza della ministra del Lavoro Elvira Calderone, che poi aggiunge che bisogna anche “tenere conto dei giudici quando dicono che la contrattazione da sola non basta. Questo è il lavoro che farà il Cnel”. “Regalerei uno specchio alle forze di opposizione, che oggi corrono dietro al vessillo di un salario minimo buono solo per la propaganda, dopo aver governato da ignavi per oltre dieci anni, senza fare nulla di concreto per migliorare i salari dei lavoratori” attacca la viceministra del lavoro e delle politiche sociali, Maria Teresa Bellucci.
A presentare ricorso in Cassazione era stato un lavoratore della vigilanza privata non armata impiegato a Torino che si era rivolto ai magistrati lamentando come la sua retribuzione fosse troppo bassa e chiedendo che fosse accertato il suo diritto a percepire un trattamento base non inferiore a quello del Contratto collettivo nazionale dei portieri. In primo grado aveva vinto e la società era stata condannata a pagare 20 anni di differenze retributive. In seguito, la Corte d’Appello aveva fatto marcia indietro rinviando ai contratti collettivi di settore, ma la Cassazione ha ribaltato questa sentenza.