L’eleggibilità di Trump nelle mani della Corte Suprema

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di Domenico Maceri

“Se uno non nasce negli Stati Uniti non può divenire presidente”. Lo disse parecchie volte in svariate interviste televisive Donald Trump nel 2011 mettendo in dubbio la legittimità di Barack Obama, l’allora presidente americano. Dopo una lunga campagna mediatica Obama rilasciò il suo certificato di nascita che riconfermava la sua cittadinanza.

Trump ha spesso espresso dubbi sulla questione dell’eleggibilità a presidente con Ted Cruz e Hillary Clinton. Nel primo caso Trump disse che Cruz era nato in Canada (vero) e quindi si doveva indagare se qualificasse a partecipare alle primarie repubblicane del 2016. Cruz arrivò primo in Iowa e Trump, come spesso fa, lo accusò di avere truccato l’elezione. Una volta vinta la nomination Trump si spostò alla sua avversaria alle presidenziali Hillary Clinton, asserendo che non era eleggibile per il suo reato di avere usato un server privato in casa sua nell’uso di comunicazioni ufficiali del governo.

Una volta vinta la presidenza nel 2016 Trump non chiese però al ministero di Giustizia, diretto dal suo nominato Jeff Sessions, di incriminare la Clinton. Nonostante la mancata professionalità della Clinton nella questione del server la sua condotta non fu considerata meritevole di indagini criminali.

La questione di eleggibilità adesso si è spostata in maniera molto seria su Trump stesso. La Corte Suprema del Colorado ha dichiarato recentemente che l’ex presidente non è eleggibile alle primarie del Partito Repubblicano per la sua incitazione agli insurrezionisti negli assalti al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Più recente anche la decisione dello Stato del Maine dove il segretario di Stato Shenna Bellows ha annunciato che Trump è ineleggibile per le stesse ragioni. Una sfuriata di altri Stati stanno esaminando la questione ma la Corte Suprema degli Stati Uniti ha proprio di questi giorni annunciato di avere accolto la richiesta del tycoon di pronunciarsi sul caso.

Fra questi due Stati spicca la decisione della Corte Suprema del Colorado che ha ribaltato la decisione della Corte Distrettuale. La Corte inferiore aveva esaminato la contesa e dopo una settimana di udienze aveva determinato che Trump aveva violato il 14esimo emendamento. Si tratta di una legge approvata dopo la Guerra Civile che mirava a impedire a ex leader secessionisti di rientrare nel governo dopo avere preso le armi contro l’Unione. L’emendamento dice che chiunque abbia “preso parte a un’insurrezione o ribellione… o che abbia dato aiuto o sostegno” ai nemici del Paese è ineleggibile a ricoprire cariche governative.

La Corte Distrettuale del Colorado ha determinato che Trump era colpevole di insurrezione ma che la carica del presidente era esclusa dall’emendamento. Si tratta di una questione linguistica che non riflette l’intenzione dei legislatori dell’epoca i quali miravano a impedire a leader secessionisti come Jefferson Davis, presidente degli Stati Confederati, di rientrare nel governo. Nella loro decisione i giudici del Colorado hanno determinato che Trump “non solo incitò l’insurrezione” ma persino durante gli assalti al Campidoglio continuò a supportare gli assalitori chiedendo che Mike Pence non facesse il suo dovere di contare i voti del Collegio Elettorale. Nel testo della decisione si legge altresì che le azioni dell’ex presidente consistono di “partecipazione diretta e esplicita nell’insurrezione”.

Si potrebbe deliberare sulla definizione di insurrezione ma sulla seconda parte dell’aiuto e “sostegno” Trump è ovviamente colpevole come ci dimostrano le sue asserzioni che gli assalitori del 6 gennaio 2021 siano patrioti e come siano stati trattati malissimo dal Ministero di Giustizia. Trump ha anche detto che se diverrà presidente concederà loro la grazia. Chi sono questi assalitori? Si tratta di più di mille persone, buona parte dei quali accusati di reati. Alcune centinaia di loro sono stati processati e alcuni dei leader sono stati condannati di sedizione ricevendo da 12 a più di 20 anni di carcere. Alcuni di loro includono leader delle milizie di ultra destra dei Proud Boys e degli Oath Keepers, grandi sostenitori di Trump, a cui l’ex presidente ha spesso espresso parole di sostegno.

Dopo l’annuncio dell’ineleggibilità dello Stato del Maine la Corte Suprema ha avuto poca scelta vedendosi costretta ad accettare il ricorso anche perché bisogna fare chiarezza sulla questione fondamentale. Trump è il primo della classe nei sondaggi per la nomination repubblicana. Gli elettori hanno il diritto di sapere chi saranno i candidati fra cui scegliere. La Corte Suprema tipicamente accetta pochissimi casi e non agisce in maniera molto celere. L’eccezione dell’intervento dei più alti magistrati è quella dell’elezione del 2000 quando la Corte Suprema accettò di determinare l’esito dell’elezione in Florida e in pochissimi giorni misero fine al riconteggio dei voti consegnando in effetti le chiavi della Casa Bianca a George W. Bush Jr.

Parecchi analisti hanno asserito che Trump merita di essere sconfitto democraticamente alle urne e non dai magistrati. Dimenticano però che l’ex presidente crede alla democrazia quando lui è dichiarato vincitore. Quando perde strilla alle elezioni truccate. Lo fece anche nel 2016 quando vinse la presidenza mediante il meccanismo del Collegio Elettorale. Perse però il voto popolare con una differenza di tre milioni di voti. In realtà Trump disse falsamente che aveva vinto anche il voto popolare eccetto per la partecipazione dei clandestini nell’elezione.

Che piaccia o no ci sono requisiti per divenire presidente. Bisogna avere 35 anni e esser cittadino americano nato in America (ius soli) o figlio di padre o madre nato in America (ius sanguinis). Ecco perché Cruz qualifica perché sua madre è nata in America. La Corte Suprema, secondo molti analisti, sorriderà a Trump poiché i togati pendono a destra (6-3). Dal punto di vista legale Trump però dovrebbe essere escluso dalle schede elettorali ma la Corte risente anche di pressioni politiche. L’ex presidente ha già dato chiari segnali che i tre giudici pendenti a sinistra gli voteranno contro. Dimentica però che anche gli altri nel caso di ribaltare l’esito dell’elezione del 2020 gli hanno votato contro. Sarà diverso questa volta? Lo sapremo fra alcune settimane.

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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