In un contesto che vede restringersi sempre più le ‘zone bianche’ della libertà di stampa (quelle dove il giornalismo è a ‘basso rischio’ di ammalarsi), l’Italia si conferma al 41° posto già registrato lo scorso anno. Questo il verdetto per il 2021 che l’annuale World Press Freedom Index di Reporter Senza Frontiere riserva al nostro Paese.
«Il giornalismo, principale vaccino contro la disinformazione – si legge nella presentazione del Rapporto – è al momento ostacolato in più di 130 Paesi». E, neanche a dirlo, è spesso la pandemia a condizionare in negativo l’accesso alle notizie e la libertà dei media.
Per quanto riguarda il nostro Paese, «il 41° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa redatta da Reporter Senza Frontiere – rileva il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso – è il risultato della situazione in cui si trovano numerosi colleghi minacciati, alcuni dei quali sotto scorta, e dello stallo in cui versano le proposte di legge di tutela del diritto di cronaca e della professione». Dalla cancellazione della pena detentiva per i giornalisti, peraltro sollecitata dalla Corte Costituzionale, al contrasto alle querele bavaglio, «sono numerose – incalza Lorusso – le proposte di riforma che il Parlamento continua a rinviare. Per non parlare dell’assenza di politiche di sostegno del lavoro regolare e di contrasto al precariato dilagante».
Il risultato, conclude il segretario Fnsi, «è sotto gli occhi di tutti e il Rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere lo fotografa in maniera impietosa: l’informazione italiana è indebolita da problemi strutturali che colpiscono i cronisti e il mercato del lavoro, dove libertà e autorevolezza sono schiacciate dal peso insopportabile della precarietà».
LA LIBERTÀ DI STAMPA NEL MONDO
Il 73% dei 180 Paesi valutati da Reporter Senza Frontiere è caratterizzato da situazioni ritenute ‘gravissime’, ‘difficili’ o ‘problematiche’ per la professione giornalista. Se questa quota di territori dipinti in nero, rosso o arancione sulla mappa del mondo rimane stabile rispetto all’anno scorso, solo 12 Paesi su 180, ovvero il 7%, contro l’8% del 2020, mostrano una ‘buona situazione’: una ‘zona bianca’ che «non è mai stata così ristretta dal 2013», secondo Rsf.
L’EUROPA
Se Paese più virtuoso resta la Norvegia, che mantiene il primo posto per il quinto anno consecutivo davanti a Finlandia, Svezia e Danimarca, e l’Europa rimane la regione più sicura, il Report evidenzia come la Germania scenda in 13esima posizione per via delle «decine di giornalisti attaccati da manifestanti vicini a movimenti estremisti e cospiratori durante le manifestazioni contro le restrizioni anti-Covid», mentre la Francia deve il suo 34esimo posto alle aggressioni e agli arresti legati alle manifestazioni contro il disegno di legge “sicurezza globale”.
L’AMERICA
‘Piuttosto buona’ la situazione dall’altra parte dell’Atlantico, con Giamaica e Costarica che si confermano nella top ten dell’Index. Restano dietro l’Italia gli Stati Uniti (44), dove «l’ultimo anno di mandato di Donald Trump è stato caratterizzato da un numero record di aggressioni (quasi 400) e arresti di giornalisti (130)». Mentre in ‘zona rossa’ si trova il Brasile (111), «dove il presidente Bolsonaro ha fatto del dileggio ai giornalisti il suo tratto distintivo», spiega il Rapporto.
IN CODA ALLA CLASSIFICA
Al 150esimo posto la Russia, che si è adoperata per limitare la copertura delle manifestazioni dei sostenitori di Alexei Navalny. Ancora più giù Paesi come l’Arabia Saudita (170) o la Siria (173). Qualche piccolo miglioramento, infine, per l’Africa, che resta comunque il continente meno ospitale per i giornalisti, con 6 Paesi negli ultimi 20 posti del ranking.