Le loro straordinarie proprietà le aveva già scoperte il medico francese pioniere della fitoterapia Jean Valnet che nel 1948 individuò scientificamente il potere curativo delle alghe.
In quanro ai viaggi spaziali, per sopravvivere anni ed anni anni su un’astronave, non si può portare con sé tutto ciò di cui si ha bisogno, ma è indispensabile poterlo produrre in autonomia. Per questo esistono molteplici soluzioni per ogni singola esigenza, ma ora l’ultima frontiera della ricerca indica che le alghe possono risolvere in un’unica soluzione tutte le esigenze e diventare così la chiave per inaugurare i viaggi spaziali a lungo termine.
«Il mio gruppo di ricerca crede che sia possibile affrontare tutti i bisogni metabolici dell’astronauta con un unico sistema di alghe» afferma Emily Matula, ricercatrice dell’Università del Colorado e NASA Space Technology Research Fellow.
«Dato che abbiamo un certo volume assegnato ai cicli d’acqua, la mia idea era di riempire i circuiti d’acqua con coltura algale in modo che da avere due processi del sistema di supporto vitale affrontati con un’unica soluzione» spiega la ricercatrice.
I risultati della ricerca non sono ancora stati pubblicati, ma la specialista in bioastronautica assicura che «questo sistema ha il potenziale per risparmiare su massa, potenza e volume lanciati in orbita ed è in grado di rivitalizzare l’aria rimuovendone dell’anidride carbonica e producendo ossigeno, operazione essenziale per consentire agli astronauti di respirare».
Il sistema funziona sicuramente sulla Terra: le stime registrano che la quantità di ossigeno fornita dalle alghe è compresa tra il 50 e l’80% del totale. In passato ne è già stata confermata l’efficacia attraverso un esperimento portato avanti nel 1961 in Russia, dove un uomo visse per 30 giorni in una stanza di soli 4,5 metri cubi, usando solo alghe per trasformare l’anidride carbonica in ossigeno. Dopo appena 3 giorni i livelli potenzialmente nocivi di monossido di carbonio si erano stabilizzati.
Anche l’esperimento «Space Algae» della NASA sulla Stazione Spaziale Internazionale ha studiato questo fenomeno. Nell’arco di 6 mesi, i ricercatori hanno indotto mutazioni sottoponendo le alghe alla luce UV, per poi coltivare ogni diverso ceppo per 40 generazioni.
Altra applicazione è poi quella legata l’uso di alghe come fonte di cibo. E poi ancora per la schermatura delle radiazioni: nello spazio, gli astronauti sono bombardati da particelle altamente energetiche note come radiazioni cosmiche, bloccare quelle radiazioni è la chiave per sopravvivere nello spazio.
Le alghe possono inoltre contribuire anche alla rimozione dei rifiuti. Se i rifiuti umani vengono utilizzati come fonte di cibo per le alghe, esse possono riciclare sostanze nutritive come il fosforo e l’azoto in una forma che gli astronauti potrebbero potenzialmente consumare. E questo potrebbe essere utile anche sulla Terra: i Paesi a risorse limitate potrebbero essere interessati ad utilizzare le alghe per la rimozione dei rifiuti industriali o umani.
«Infine, si sta studiando l’utilizzo di alghe nella produzione di oli combustibili. Quando le alghe sono nutrite con azoto o zolfo, queste producono oli densi di energia. Si sta quindi verificando se la crescita delle alghe nello spazio possa produrre più petrolio che sulla Terra» sottolineano i responsabili di AlgaNews.net.
A lungo termine, questo potrebbe essere utile anche per la produzione di materiali nello spazio: gli oli prodotti dalle alghe possono essere infatti utilizzati non solo per produrre combustibile ma anche bioplastica.