Siamo davvero spiacenti di comunicare che il finissage della mostra espositiva, nucleo centrale di Ceci n’est pas un blasphème – il festival delle arti per la libertà di espressione, previsto per il giorno 30 settembre alla presenza dell’artista di fama internazionale Abel Azcona, non si svolgerà. La performance prevista è stata – di fatto – censurata. La mano che ha dovuto firmare il diniego è quella del Pan, ma noi riteniamo che la struttura e i suoi dirigenti siano vittime tanto quanto noi. Vittime delle reazioni fanatiche di quanti, nel nome del loro sentimento religioso offeso, senza essersi presi la briga di visitare la mostra né di comprenderne le intenzioni, si sono in questi giorni scagliati contro il festival e gli organizzatori ma, soprattutto, contro le istituzioni, “colpevoli”, a loro avviso, di averci concesso spazio e voce.
Ma andiamo con ordine.
Il giorno venerdì 24 settembre ci è stata richiesta una relazione che esponesse nei dettagli l’idea performativa che Azcona avrebbe realizzato nel corso dell’appuntamento: considerando il grande riscontro mediatico (e, ci permettiamo di sottolineare, in termini di visite) che la nostra iniziativa ha raggiunto, era importante procedere con anticipo per evitare assembramenti o disordini di qualunque tipo. Abbiamo prontamente soddisfatto la richiesta, chiarendo sia la tipologia di performance che il contesto nel quale questa si sarebbe inserita: un omaggio dell’artista alla città.
La mostra di Abel Azcona, secondo il progetto originario, si limitava a una retrospettiva incentrata sulle vicende giudiziarie collegate alla sua opera intitolata Amen, completamente riabilitata dalla sentenza finale e assolutoria, in quanto non solo il giudice non ha ravvisato alcun elemento di vilipendio della religione, ma ha evidenziato che essa pone all’attenzione del pubblico una questione dolorosa e tragica. Entusiasta del progetto e deciso a promuovere le finalità etiche del Festival, l’artista si è offerto di donare al PAN e a Napoli una performance. Tutte le sue opere nascono da performance, pertanto possiamo asserire che quella che era una mera documentazione si sarebbe trovata ad essere nobilitata da un’azione artistica dal vivo.
La performance immaginata per il PAN avrebbe generato, attraverso una scultura vivente, un sistema di resistenza, attraverso un’azione della durata di circa 45 minuti, da ripetersi in due diverse fasce orarie: 17.30 e 19.30. L’artista sarebbe stato in piedi su una piccola base bianca, vestito di nero e immobile. Su un piedistallo più alto, posto davanti a lui, un bambino di circa 10 anni, anch’egli vestito di nero, avrebbe puntato una pistola (giocattolo) alla bocca dell’artista. La rappresentazione in corpo vivo del ricatto – sotto le mentite spoglie dell’innocenza – che ha permesso gli abusi subiti e denunciati dall’artista. Immaginando la presenza di più bambini ad alternarsi (uno solo avrebbe potuto stancarsi) sarebbero stati dei performer: allievi di scuole teatrali e, quindi, già abituati alla messa in scena, ad esibirsi in pubblico e preparati al ruolo in modo consono dai maestri. Inoltre avrebbero avuto accesso alla sala della performance dal retro, evitando il passaggio attraverso il percorso espositivo, vietato ai minorenni.
Il numero di persone ammesse, collocate con tutte le distanze e le dovute restrizioni previste dalle norme anti-covid, sarebbe stato deciso dal Pan, e l’accesso sarebbe stato organizzato secondo le modalità di prenotazione ritenute più opportune dalla dirigenza.
Il 28 settembre, abbiamo ricevuto dal Pan il diniego, non privo di rammarico, a procedere con tale performance. Di conseguenza, l’artista Abel Azcona non sarà con noi a Napoli. Nonostante tutte le spiegazioni e rassicurazioni – legittime e doverose – del caso, la dirigenza ha ritenuto che il coinvolgimento dei minori in tale azione scenica avrebbe avuto un impatto particolarmente violento sulla loro sfera psicologica e, quindi, nel migliore interesse per i bambini, come sancito dalla Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, non potevano autorizzarne lo svolgimento.
In merito a tutto questo, abbiamo qualcosa da replicare, e lo ribadiremo il 30 settembre alle 17.30 nel corso di una diretta streaming che terremo dal Pan sui nostri canali, alla presenza di alcuni degli artisti e dei supporter che ci hanno sostenuto in queste settimane di festival. Rappresentanti dell’assessorato alla Cultura e del Pan di Napoli si ritengano, naturalmente, invitati a partecipare.
Nel frattempo, anticipiamo che innanzitutto, le prime parole che desideriamo rivolgere a tutti i dirigenti del Pan e del Settore Cultura del Comune, sono di ringraziamento. Accogliendo il nostro programma, il PAN ha anzitutto rispettato la vocazione del Palazzo ad essere un centro sperimentale di diffusione della cultura e dei linguaggi espressivi.
La nostra iniziativa ha posto alla collettività molte domande. È opportuno che una società, che si appresta a diventare multiculturale, conservi reati che puniscono invettive religiose? L’aggettivo “blasfemo” non andrebbe sostituito, più sovente di quanto non si faccia, con l’aggettivo anticlericale? Di fronte alla strumentalizzazione del sentimento di offesa, è utile reprimere la provocazione dell’arte o intraprendere un audace percorso educativo che ricordi che il rispetto delle tradizioni religiose non può diventare legge? Diversamente, qualsiasi pensiero alternativo alle credenze religiose rischia di diventare fuorilegge.
Questa premessa ricapitola le questioni offerte all’interno della manifestazione, che è dichiaratamente collegata a una battaglia civile: chiediamo l’abolizione dei reati che puniscono la blasfemia, ritenendo la blasfemia non comparabile a un illecito o un delitto.
Ma veniamo alle osservazioni che hanno impedito all’azione artistica conclusiva di svolgersi.
La performance di Abel è un’opera di straordinaria delicatezza, una posa scultorea, priva di interazione, della durata totale di 45 minuti. I bambini coinvolti, di età compresa tra i 7 e i 10 anni, alternandosi, avrebbero dovuto assumere una posa fotografica per il tempo adeguato alla loro personale resistenza. Che tale performance li avrebbe provati fisicamente ed emotivamente, a violazione dei diritti dell’infanzia, non mi appare ragionevole, neanche in considerazione del fatto che avrebbero dovuto impugnare una pistola giocattolo: se queste fossero inadeguate all’infanzia, non ce ne sarebbero in commercio; se non fosse possibile far recitare bambini in sceneggiature di violenza, non avremmo film horror, drammatici, di denuncia che al contrario vedono protagonisti proprio bambini, sebbene poi quegli stessi film siano vietati ai minori, anzi sarebbe considerato uno sfruttamento anche la posa fotografica per le pubblicità di moda.
È evidente che la motivazione del respingimento non può essere questa.
Capiamo che non è una motivazione, bensì una preoccupazione. Si sarebbe potuto rifiutare il dono dell’artista, appellandosi a un mero aspetto formale: l’iniziativa non rientrava nel progetto originario. Questa scelta, di mettere in luce una preoccupazione, ci spinge a credere con convinzione nel dispiacere che ci è stato palesato per questo rifiuto.
Prima di intraprendere il nostro progetto, ci siamo ripromessi che avrei fatto il possibile per spostare l’attenzione dalla provocazione, dalla trasgressione dell’arte alla “reazione” delle comunità: il pubblico deve imparare a gestire le proprie reazioni emotive. In tutti i casi giuridici, commerciali, mediatici, artistici, da noi raccolti e catalogati, osserviamo una seria sproporzione tra il fatto e la reazione. Pertanto ho ragione di credere che è in questa fase del dialogo pubblico, nella reazione, vada posta ogni attenzione e vigilanza.
La dirigenza del Pan è vittima delle pressioni esagerate e strumentali che si sono mosse contro l’iniziativa, anche in conseguenza della oggettiva assenza di argomentazioni politiche, strategiche, economiche che caratterizzano il vuoto di contenuti delle nostre campagne elettorali, le quali – pur di parlare di qualcosa – vanno a caccia delle presunte, altrui inadempienze.
Il ricattato non può essere oggetto di biasimo. Indirizziamo il nostro alle persone che l’hanno messa sotto pressione e che rifiutano alcuni basilari principi: il nostro Stato è laico, aconfessionale, la religione di Stato non esiste più, lo spazio pubblico non ha l’obbligo di esporre solo opere belle, classicheggianti e sacre, ma anche opere satiriche, problematiche, conflittuali: i linguaggi dell’arte, siano essi imprigionati nei musei o diffusi nelle nostre strade, supportano atti comunicativi e non azioni repressive.
Il nostro Festival si conclude giovedì 30 settembre, la Giornata internazionale della blasfemia, indetta dalle principali organizzazioni laiche mondiali perché siano aboliti i reati che la puniscono, si conclude con una scelta censoria animata dalla paura delle reazioni. Si conclude, tramutando noi in uno dei casi di censura preventiva che abbiamo censito in questi anni.
Più che un fallimento è la conferma che è necessario continuare le nostre ricerche, le nostre attività divulgative, le nostre proteste.