Sabato 26 settembre 2020, ore 11.00
Incontri Sensibili
Christiane Löhr incontra Capodimonte
a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio
Museo e Real Bosco di Capodimonte, sala 82 – secondo piano
via Miano 2 – Napoli
“La cultura è ciò che risponde a un uomo quando si chiede cosa fa sulla terra” (André Malraux)
La mostra, a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio in collaborazione con Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, porta per la prima volta al museo l’opera dell’artista tedesca Christiane Löhr nell’ambito del ciclo Incontri sensibili, dialogo tra artisti contemporanei e collezione storica di Capodimonte.
L’esposizione si pone nel solco delle esposizioni Bourgeois e Guarino (26 marzo – 17 giugno 2017) e Jan Fabre. Naturalia e Mirabilia (1 luglio – 7 gennaio 2017), Incontri sensibili: Paolo La Motta guarda Capodimonte (30 giugno 2018 – 24 febbraio 2019), Jan Fabre. Oro rosso: sculture d’oro e corallo, disegni di sangue (30 marzo – 15 settembre 2019) sempre al secondo piano del museo, nella sala 82 che per questa mostra riapre la sua finestre sullo storico Belvedere.
La mostra Christiane Löhr incontra Capodimonte (26 settembre 2020-10 gennaio 2021), a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio, sarà presentata alla stampa e al pubblico sabato 26 settembre alle ore 11.00. Sarà presente l’artista e i curatori. Il giorno precedente, venerdì 25 settembre alle ore 19, presso lo Studio Trisorio (via Riviera di Chiaia, 215) sarà inaugurata la mostra personale dell’artista (fino al 4 dicembre 2020)
Arte e Natura: le opere di Löhr e il dialogo con la collezione di Capodimonte
L’arte e la natura hanno avuto un’essenza comune fin da quando l’umanità ha cercato di rappresentare graficamente il mondo che la circonda. Rappresentare il mondo è prima di tutto appropriarsene. Nelle prime figurazioni, quelle dell’arte rupestre e dell’arte parietale della grotta di Chauvet o di Lascaux, la rappresentazione della natura significava prima di tutto la sua minaccia. In essa riconosciamo la forza degli animali, oggetto dei primi terrori e delle grandi mitologie che hanno alimentato la sacralità delle religioni primitive e antiche e che il cristianesimo ha traslato negli animali fantastici dei bestiari del Medioevo, dove l’arte già non si limitava più a testimoniare il mondo, ma cambiava il nostro sguardo su di esso.
La storia del mondo vegetale ha una logica meno urgente perché meno minacciosa; le piante infatti, così come i paesaggi, non fanno parte dell’arte rupestre. La conoscenza delle piante, come per tutte le scienze, proviene prima di tutto dal disegno. La botanica nasce con la classificazione illustrata, strettamente legata all’erboristeria medica, dello svedese Von Linné, in italiano Carlo Linneo. Ai disegni di botanica si deve la precisione analitica, ma anche l’esaltazione della bellezza dei fiori: è tangibile l’incanto che suscitano le rose di Pierre-Joseph Redouté o Fantin-Latour, o la meraviglia di una natura esuberante e felice come nei fiori bianchi e blu di Andrea Belvedere che difficilmente chiameremmo Natura Morta, tanto la nostra sensibilità ritrova l’esaltazione della composizione, quel momento vivo e quella luce che gli impressionisti faranno oggetto dei loro dipinti.
Christiane Löhr sposta le linee di questa storia. Le sue installazioni, le sculture, i disegni, sono composti con materiali organici, quelli della natura che la circonda: il crine di cavallo, il pelo animale, il seme, il filo d’erba. Sono opere disegnate con gli elementi della natura, la cui armonia scultorea, quasi coreografica e musicale, sembra restituire il ritmo spontaneo del mondo organico. Ma non illudetevi, l’arte che raggiunge questo livello di naturalezza è sempre frutto di un lavoro di grande rigore.
Come per Andrea Belvedere, pittore di un’altra epoca, esponente del barocco napoletano, anche per la Löhr la natura è viva e dalle sue composizioni emana una forza vitale, certamente spensierata ma anche allarmante, quella di un’altra forma di pericolo derivato dalla fragilità della materia.
“La nostra crescente consapevolezza della preoccupante fragilità della natura è stata accelerata dalla pandemia – afferma il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Sylvain Bellenger – Da tempo, il rapporto con la percezione dei pericoli si è invertito e l’uomo ha meno bisogno di difendersi dalla natura che di difendere la natura da se stesso. È questo anche il messaggio politico che scaturisce dalla delicata estetica di Christiane Löhr? Spetta all’artista, ma soprattutto al pubblico decidere, perché, infine, è il pubblico che delineerà la storia”.
“Per questa mostra, dove la sua opera incontra un dipinto di Andrea Belvedere, la Löhr ha chiesto che fosse utilizzata la luce naturale. Abbiamo così riaperto la finestra solitamente chiusa della sala “Incontri sensibili” e il caso ha voluto che si aprisse sul meraviglioso Belvedere di Capodimonte – continua il direttore Bellenger – Un’altra casualità, una di quelle che fanno della storia un destino, è la presenza, a pochi metri di distanza, della “sala Kounellis”. Così, dopo molti anni, l’allieva e il maestro si incontrano di nuovo e si comprende quanto le loro installazioni rivelino gli stessi misteri, quelli che non lasciano nulla al caso e oscillano tra esigenze estetiche e pensiero politico. Le grandi opere aprono sempre un aldilà che si rafforza con il tempo”.
Il dipinto di Capodimonte: Andrea Belvedere, Ipomee e boules de neige sull’acqua
Il dipinto è entrato nelle raccolte museali negli anni Settanta dell’Ottocento e si trovava in origine nelle collezioni del famoso filosofo e giurista napoletano Giuseppe Valletta (1634-1714), tra i fondatori a Napoli dell’Accademia di carattere scientifico e filosofico degli Investiganti (1650), nonché amico del pittore. Il biografo napoletano Bernardo De Dominici (1683-1750) descrive l’opera in casa Valletta come la più lodata dai pittori e dagli intenditori forestieri, probabilmente proprio per la forza poetica che tanto dovette impressionare i contemporanei. Dati gli interessi botanici di Giuseppe Valletta, probabilmente è stato lui a commissionare all’artista il dipinto e a suggerirne il soggetto, dato che i fiori di sambuco e i semi di ipomee erano conosciuti fin dall’antichità ed usati in medicina per le loro qualità medicamentose.
A un ramo di sambuco con efflorescenze bianche, le boules de neige, sono intrecciati tralci di campanelle, le ipomee blu. Incastrato a un tronco, il ramo, spezzato, è sospeso a mezz’aria e lambisce uno specchio d’acqua. Scegliendo apparentemente un motivo semplice, Belvedere cattura un momento ‘effimero’, fuggevole: all’imbrunire del giorno, come suggerisce lo scorcio di cielo che si intravede sullo sfondo, la messa a fuoco dell’immagine è su quel ramo fiorito “che rievoca dall’ombra notturna i suoi corimbi, e pende, stroncato, appesantito, sopra uno specchio d’acqua abbrunato, ove scivola il calice riverso d’una campanula divelta” (De Rinaldis 1928).
L’opera è stata realizzata intorno agli agli Ottanta del Seicento, nella fase centrale dell’attività del pittore, quando l’attenzione alla produzione dei grandi ‘fioranti’, come Giovan Battista Ruoppolo (1629-1693), Giuseppe Recco (1634-1695), Paolo Porpora (1617-1673), Abraham Breughel (1631-1697) e Mario dei Fiori (1603-1673) si aggiorna alle nuove soluzioni del genere europeo. Trasferitosi in Spagna nel 1694 chiamato dal re Carlo II (1661-1700), al suo ritorno a Napoli, nel 1700, Belvedere abbandona la pittura per dedicarsi all’attività teatrale.