Carcere di Santa Maria Capua Vetere, concluse indagini, ipotesi reato di tortura.

L'esterno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Caserta, 13 giugno 2020. Un rivolta dei detenuti, sarebbe in atto nell'istituto di pena che in questi giorni è al centro di polemiche riguardanti un'inchiesta su presunti pestaggi che sarebbero avvenuti lo scorso 6 aprile. Secondo quanto si apprende da fonti sindacali la rivolta è scoppiata nel reparto Danubio. Ieri, nell'infermeria dell'istituto sei agenti sono stati aggrediti da detenuti extracomunitari. ANSA / CESARE ABBATE
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Sono state chiuse le indagini sulle violenze commesse da agenti della penitenziaria ai danni di detenuti, il 6 aprile del 2020, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Lo rende noto la stessa Procura sammaritana diretta da Maria Antonietta Troncone, che ha depositato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a carico di 120 persone, tra poliziotti della Penitenziaria e funzionari del Dap accusati a vario titolo dei reati di tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino.

La Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, nell’avviso di chiusura indagini relativo alle violenze avvenute nel carcere casertano il 6 aprile 2020, contesta anche l’omicidio colposo a dodici indagati in relazione alla morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno delle violenze.

Tra gli indagati che rispondono di cooperazione in omicidio colposo figurano l’allora comandante della Polizia Penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli, l’ex provveditore regionale del Dap Antonio Fullone (tuttora sospeso), e quegli agenti che erano nel reparto di isolamento. Nella conferenza stampa del 28 giugno scorso, giorno in cui furono eseguite 52 misure cautelari per gli episodi dell’aprile 2020, gli inquirenti spiegarono, in relazione alla morte di Lamine, di aver contestato il delitto di “morte come conseguenza di altro reato” ad alcuni indagati, ma che il Gip Sergio Enea aveva bocciato tale impostazione ritenendo, in base agli elementi raccolti fino a quel momento, che la morte dell’algerino andasse classificata come suicidio; questa statuizione del Gip è stata però impugnata dalla Procura, che ha quindi aggiunto un’ulteriore grave contestazione al compendio accusatorio già molto rilevante. Per la Procura Hakimi sarebbe stato percosso violentemente dopo essere stato prelevato dalla cella e portato in quella di isolamento, quindi qui avrebbe assunto “in rapida successione e senza controllo sanitario un mix di farmaci, tra cui oppiacei, neurolettici e benzodiazepine” che ne avrebbero provocato dopo circa un mese la morte per un arresto cardiocircolatorio conseguente a un edema polmonare acuto. (ANSA)

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