Curata da Achille Bonito Oliva e organizzata da Spirale d’idee in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.
La rassegna raccoglie 180 opere e rivolge particolare attenzione al rapporto che legava Andy Warhol a Napoli, nato a metà degli anni 70 grazie all’amicizia con il gallerista Lucio Amelio e alla volontà di Mario Franco.
Il percorso espositivo si snoda, infatti, attraverso i ritratti dei personaggi noti della città, che l’artista ebbe modo di conoscere durante le sue visite in Italia, quali, Graziella Lonardi Buontempo, Ernesto Esposito, Peppino di Bernardo, Salvatore Pica, e naturalmente Joseph Beuys, oltre alle vedute partenopee delle sue Napoliroid.
Proprio all’amicizia con Lucio Amelio si deve la nascita del suo più noto e monumentale headline work, Fate presto, basato sulla prima pagina del Mattino del 23 novembre 1980, il cui strillo trasformava in notizia l’evento drammatico del terremoto d’Irpinia, che per la sua distruttiva violenza impressionò l’artista.
Tanto da ispiragli, qualche anno più tardi, una nuova serie di lavori, Vesuvius, in cui l’immagine del vulcano, uno dei temi classici dell’iconografia locale, viene replicata ossessivamente in colori diversi. «Per me l’eruzione – spiegò infatti Andy Warhol – è un’immagine sconvolgente, un avvenimento straordinario ed anche un grande pezzo di scultura… Il Vesuvio per me è molto più grande di un mito: è una cosa terribilmente reale».
Adombrando fenomeni caratteristici di Napoli come i “femminielli”, la produzione dei falsi o la tradizione canora, la mostra propone la serie Ladies and Gentlemen del 1975 (con relativi acetati e polaroid) e i disegni realizzati dall’artista a partire dalle fotografie di Wilhelm von Gloeden (1978) acquistate da Lucio Amelio; la storica serie Marilyn del 1967 e quella firmata nel 1985 da Warhol con la scritta «questa non è mia» (Marilyn this is not by me); le numerose collaborazioni avute dall’artista con case discografiche, cantanti e gruppi musicali, firmando cover assolutamente rare già alla fine degli anni degli anni 40 e altre presto entrate nella storia del rock.
Il titolo della mostra, Vetrine, nasce dall’idea di inserire nella mostra quattro spazi omonimi, che raccolgono il dialogo mai interrotto da Warhol con il mondo commerciale delle case discografiche, dei negozi del lusso di Madison Avenue, della grande distribuzione dei supermercati, del merchandising turistico o culturale, tanto che la serie Golden Shoes, realizzata a metà degli anni 50 – quando Warhol lavorava con successo come grafico pubblicitario e vetrinista – , accompagnò il suo passaggio da artista alla portata di tutti a nome dello star sistem.
Da qui la presenza di “sezioni vetrina” con le serigrafie delle Campbell’s soup, le “scatole-scultura” e le t-shirt realizzate dalla Andy Warhol Foundation for the Visual Arts in sintonia con la volontà dell’artista, che aveva inseguito il suo sogno di popolarità attraverso la moltiplicazione seriale delle proprie opere, in un’inedita competizione con le tecniche di produzione industriale e le regole della grande distribuzione.
Seguendo la liaison imaginaire tra Napoli e New York cercata a suo tempo da Amelio, la mostra rintraccia i nodi di una sotterranea empatia tra l’underground promiscuo e multirazziale, bello e dannato della metropoli statunitense e la magmatica creatività popolare della capitale storica del Mediterraneo. Un territorio sempre in bilico tra morte e rinascita, dramma e commedia, ricchezze artistico-culturali e paccottiglia kitsch, che ancora una volta si manifesta quale sipario strappato sulla scena interiore della contemporaneità.