Altro che De Luca, è il Pd a finire nell'angolo.

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cozzolinodelucadi Gigi Casciello

Nella vita tutto torna. E’ così da sempre ma la vicenda politica campana, che parte e s’intreccia con quella salernitana, è scritta davvero con poca fantasia.

E allora val la pena partire da lontano. Vincenzo de Luca fu eletto sindaco la prima volta nel ’93, dopo mesi furenti di Tangentopoli che avevano falciato l’esperienza della Giunta laica e di sinistra guidata dal socialista Vincenzo Giordano e che aveva avuto proprio De Luca come assessore e vicesindaco.

Segretario cittadino del Psi di Camelo Conte, che dopo quarant’anni aveva spedito all’opposizione la Democrazia Cristiana, era Vincenzo Napoli che ora Vincenzo De Luca ha nominato vicesindaco e che dovrà tentare di governare il vascello del potere deluchiano a Palazzo di Città in un mare periglioso tra inchieste giudiziarie, fuoco amico del Pd e primarie improbabili.

Enzo Napoli è persona capace, mite, poco amato dall’anima postdemocristiana del Pd ed appena tollerato dall’entourage deluchiano ma per una volta Enzo De Luca nel fare la scelta migliore ha riconosciuto anche il più grande limite della sua stagione politica: l’incapacità di creare una classe dirigente, di essere credibile fino in fondo nel suo andare oltre i partiti piuttosto che consegnarsi alla casa più matrigna che madre del Pd.

L’unica era quindi affidarsi ad uno che veniva da lontano, non logorato dal “deluchismo”.

E chi crede che quella di Enzo Napoli possa essere una stagione breve non ha fatto i conti con la capacità dell’uomo di essere attrattiva e riferimento di un mondo, non solo politico, che nel vederlo nominato vicesindaco ha tirato un sospiro di sollievo temendo che la scelta cadesse su qualche ragazzotto di stretta osservanza deluchiana, peggio anche se “familiare”.

Ad Enzo De Luca tocca invece la battaglia più complicata. La sua vicenda giudiziaria, con annessa sospensione nel caso di elezione in Regione, è roba di giuristi, di ricorsi al Tar ed altre manfrine possibili solo in questo Paese di passacarte, dove proprio la strategia adottata dal Pd sulle primarie in Campania conferma l’irrefrenabile tentazione del centrosinistra di preferire la via giudiziaria piuttosto che quella del confronto e della dialettica politica.

In fondo è la via più semplice. Molto più complicato spiegare ai cittadini quale Campania si vorrebbe a quella rimessa in piedi da Stefano Caldoro dopo i disastri bassoliniani.

Non serve una particolare genialità per capire che le primarie del Pd in Campania sono state rinviate più volte in attesa e nella speranza che una sentenza, ben più aspra di quella emessa ieri, mettesse fuorigioco De Luca.

E non serve nemmeno una spiccata intuizione per capire che il Pd ha solo un modo per evitare che De luca si candidi comunque: ammetterlo alle primarie senza indulgere in ragionamenti pelosi di presunta inopportunità morale.

In caso contrario dalle parti del centrosinistra si rassegnino: De Luca correrà comunque con l’alibi della vittima sacrificata sull’altare della presunta superiorità morale della sinistra italiana.

Insomma, per il centrosinistra la corsa verso le regionali se prima era in salita (al di là di sondaggi che la darebbero in lieve vantaggio su Caldoro) ma rischia di essere improba per l’incapacità di una proposta di programma e per l’inevitabile compattamento del centrodestra che intorno a Stefano Caldoro saprà trovare una sintesi ed una squadra competitiva.

A meno che la sindrome del suicidio politico non contagi anche il centrodestra al quale, comunque, sarà bastata la lezione delle elezioni a sindaco di Napoli. Ed un altro De Magistris sarebbe di troppo per tutti.

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