Delitto Mennella, le motivazioni della sentenza di condanna a 20 anni di Antonio Ascione.

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Non basterà a mitigare l’amarezza dei familiari, che hanno lamentato fin da subito l’inadeguatezza della pena, ma se non altro le motivazioni della sentenza che il 4 ottobre 2018 ha condannato a vent’anni di carcere il pizzaiolo quarantacinquenne di Torre del Greco Antonio Ascione per l’assassinio dell’ex moglie Maria Archetta Mennella, che di anni ne aveva appena 38, rappresenta una sorta di “ergastolo morale” per il killer, nei cui confronti il giudice del Tribunale di Venezia, dott. Massimo Vicinanza, usa toni durissimi.

Il limite sta nella legge” ha commentato, dopo la lettura dell’atto, l’avvocato di parte civile, del Foro di Padova, Prof. Alberto Berardi, che assiste i familiari della vittima con la collaborazione di Studio 3A, ricordando innanzitutto che la pena a cui sarebbe stato condannato Ascione sarebbero trent’anni, che però sono stati diminuiti di un terzo in virtù della scelta del rito abbreviato: un effetto che sarà destinato a non riproporsi per il futuro, vista la proposta di Legge approvata dalla Camera lo scorso novembre che prevede l’inapplicabilità dell’abbreviato e del relativo “sconto” ai delitti puniti con l’ergastolo, ma che è giunta tardi per il procedimento in questione.

Assodato che Antonio Ascione, all’alba del 23 luglio 2017, nella casa di Musile di Piave, nel Veneziano, dove l’ex consorte si era trasferita dopo la separazione, ha “provocato volontariamente la morte della moglie separata (lo stesso imputato nelle dichiarazioni rese non ha mai sostenuto di aver agito con finalità diversa da quella di provocare la morte di sua moglie)”, e “in questo senso l’impianto accusatorio coglie nel segno”, “il vero tema del processo concerne la sussistenza e, in conseguenza, il bilanciamento delle circostanze del reato, quelle aggravanti della premeditazione, dei futili motivi, del rapporto di coniugio, della minorata difesa, così come contestate dal Pubblico Ministero (il dott. Raffaele Incardona, ndr), e quelle generiche invocate dalla difesa” scrive il giudice.

Il dott. Vicinanza ha riconosciuto la sussistenza delle aggravanti del delitto commesso in danno del coniuge (“è irrilevante l’intervenuta separazione perché tale status non determina lo scioglimento del matrimonio”) e della minorata difesa: “Maria Archetta Mennella è stata attinta da numerose coltellate quand’era ancora a letto, all’interno della sua camera, nelle prime ore del mattino, intorno alle 7, pochi minuti dopo essersi svegliata: di fatto la vittima non ha avuto alcuna possibilità di reazione, ne sono prova le modestissime e limitate ferite da difesa”. Non ha invece ritenuto sussistere le altre due, i futili motivi e la premeditazione. Secondo il giudice “il motivo che ha spinto Ascione a uccidere la moglie non può considerarsi né lo sfogo pretestuoso di un impulso criminale avulso dal reato stesso, né sotto il profilo oggettivo, lieve o banale: una volta accertatosi della nuova relazione che aveva intrecciato la Mennella (con un collega di lavoro, ndr), e compreso che qualsiasi progetto di ripristino della relazione coniugale era impossibile, ha avuto l’impulso di uccidere e ad esso non si è sottratto”. Nonostante, poi, le varie prove prodotte dal Pubblico Ministero e dall’avvocato Berardi l’assassino tre giorni prima aveva minacciato di morte Mariarca proprio con un coltello -, a ragione del giudice l’assassino “non ha mai agito con animo freddo e con la possibilità di ponderare il recesso del proposito, visto che proprio la lettura dei messaggi whatsApp (tra l’ex moglie e il nuovo partner, ndr) lo avevano gettato in una sorta di delirio”.

Secondo il giudice, tuttavia, “non possono trovare applicazione neppure le invocate (dalla difesa dell’imputato) circostanze attenuanti generiche”, “e, al di là degli aspetti tecnici – sottolinea l’avvocato Berardi -, credo che questa parte delle motivazioni della sentenza siano molto importanti per i familiari di Maria Archetta, perché è paradigmatica ed evidenzia il comportamento complessivo dell’omicida”. Le parole di Vicinanza, infatti, sono un macigno per Ascione, “che ha agito in modo subdolo, perché da un lato ha mostrato di accettare la scelta della moglie di porre fine alla relazione coniugale, dall’altro non ha fatto altro che controllarne la vita, l’ha spiata, insultata, minacciata, l’ha ricattata anche utilizzando i figli minori, arrivando addirittura a perorare il suo licenziamento e quello di chi lavorava con lei”: il killer pretendeva con insistenza che i titolari del negozio nell’outlet di Noventa di Piave dove Mariarca lavorava la licenziassero e lasciassero a casa pure due giovani colleghi, al punto che la direttrice del punto vendita aveva presentato un esposto al Commissariato di Polizia. La mattina del 19 luglio 2017 la vittima, in un massaggio whatsApp all’ex marito, si lamentava con lui scrivendogli: “uno, io non sono pazza; due, il mio privato non ti interessa; tre, hai violato la mia privacy leggendo le chat di wapp; quattro, mi hai mi minacciata con un coltello”. Per inciso, Ascione è stato dichiarato colpevole anche del reato di minaccia aggravata, per il quale avrebbe avuto una ulteriore pena di sei mesi (nove meno i tre dell’abbreviato) “che sarebbe da porre in aumento con quella principale”, recitano le motivazioni, se non fosse che “la pena da applicare per il concorso dei reati non può essere in ogni caso superiore ad anni trenta di reclusione, diminuita per il rito”: ergo, sempre venti.

Non solo. “Proprio con la figlia – prosegue il giudice – Ascione dopo il delitto ha tenuto la condotta peggiore, con l’invio di una missiva con la quale rivelava il Pin del telefono della madre affinché la quindicenne potesse essa stessa controllare la nuova relazione della mamma: una lettera veramente ignobile, che contiene anche accuse alla povera Mennella, madre (assassinata) di chi di quella lettera era destinataria”.

La sentenza sottolinea infine la valutazione negativa dell’imputato anche sotto il profilo processuale, “visto che nei due interrogatori resi ha offerto versioni diverse su punti essenziali della vicenda, ha negato responsabilità per la minaccia con il coltello e omesso di riferire dei comportamenti che aveva tenuto in danno della Mennella”.

In conclusione, il giudice valuta “in senso fortemente negativo le modalità d’azione, la gravità del danno, il carattere del reo e la condotta susseguente al reato. Ascione ha colpito la povera Mennella in modo a dir poco vigliacco, quando la donna stava ancora a letto, appena cessato il riposo notturno (…), ha abusato dell’ospitalità nella casa dell’ex moglie, piegandola a una sorta di perenne controllo, e ha persino avuto la pretesa di giustificare il proprio gesto inviando quella lettera alla figlia e mettendo in risalto quella che era stata la “colpa” della madre. Pertanto, se l’azione delittuosa è stata caratterizzata dalla viltà, il comportamento successivo si connota per riprovevolezza non solo morale, perché incide anche sul danno che già era stato provocato ai figli”. E, conclude Vicinanza, l’imputato “non ha avuto una sola parola per dire che ha troncato la vita di una donna di trentotto anni che coraggiosamente aveva lasciato la Campania per trasferirsi in Veneto, per lavorare e lasciarsi alle spalle una relazione coniugale con un tossicodipendente che le aveva reso finanche difficile la sopravvivenza economica e che l’aveva ripetutamente picchiata”.

Possibile che a fronte di questo quadro sia finita qui? “Parlerò con il Pm per capire se ha intenzione e se vi siano i margini per impugnare la sentenza – conclude Berardi, che penalmente non può proporre ricorso – Di sicuro, però, la impugnerò in sede civile”, perché anche il risarcimento disposto dal giudice è scarno “e ben al di sotto di quanto stabilito dalle tabelle di Milano”. Ascione, che però risulta nullatenente, è stato condannato al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di (soli) 50mila euro per ciascuno dei due figli minori, di 30mila per l’anziana mamma di Mariarca e di 20mila per ognuno dei cinque fratelli, oltre a tremila euro per l’associazione “Bon’t Worry – Noi Possiamo Onlus”, che pure si è costituita parte civile. “Non va dimenticato che i Mennella non navigano nell’oro e che si stanno facendo carico, con amore e sacrifici, di crescere due ragazzi rimasti orfani di fatto di entrambi i genitori in modo tragico, con le relative problematiche anche sul piano psicologico” ricorda anche Riccardo Vizzi, il consulente personale di Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, che ha seguito e supportato fin da subito la famiglia di Mariarca a titolo gratuito.

Ascione non ha solo ammazzato in modo proditorio e brutale nostra sorella, ma le ha reso la vita un inferno, sia durante il matrimonio, sia dopo la separazione: la picchiava, non pagava gli alimenti per il mantenimento dei figli, causandole gravi difficoltà economiche, la controllava, la opprimeva, come uno stalker. Tutte circostanze che vengono ben evidenziate nelle motivazioni della sentenza. Ciò che indigna è che a una persona del genere, a fronte di tutto ciò che ha commesso, siano state concesse tutte queste agevolazioni. Purtroppo il nostro è un sistema giuridico distorto che tutela in modo sproporzionato i colpevoli e troppo poco le vittime e i loro familiari: un sistema che spinge a farsi giustizia da soli, perché giustizia non c’è. L’assassino di Mariarca non meriterebbe l’ergastolo o quanto meno trent’anni di galera, ma scontandoli tutti, dal primo all’ultimo? E invece, dopo tutto quello che ha fatto, tra poco più di dieci anni potrebbe essere fuori” commentano infine, amaro, le sorelle e il fratello di Maria Archetta Mennella.

 

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