I Cenci di Artaud, giovedì 14 al teatro Elicantropo.

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Farà tappa anche al Teatro Elicantropo di Napoli la prima edizione del concorso per compagnie teatrali Under 35 Alla ricerca del tempo vissuto. Una finestra sull’opera di Gennaro Vitiello, organizzato dall’Associazione Scena Sperimentale Gennaro Vitiello in collaborazione con Teatro Avanposto Numero Zero e con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli.

Le compagnie selezionate, protagoniste di una “finestra” di studio, approfondimento e svelamento sull’attività culturale di Gennaro Vitiello, tra gli operatori più incisivi della scena napoletana ed europea del ‘900, porteranno in scena, entro il mese di giugno 2019, le sue rielaborazioni e traduzioni dai testi dei maggiori autori europei.

La commissione che giudicherà tutte le creazioni sceniche in concorso è composta dai giornalisti e critici teatrali Giulio Baffi, Paola De Ciuceis, Stefano De Stefano, Stefania Maraucci, e dall’attore e regista Mariano Rigillo.

Lo spazio eventi partenopeo, ospiterà, giovedì 14 marzo 2019 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 17), la compagnia Contestualmente Teatro, che porterà in scena I Cenci di Antonin Artaud, con l’adattamento e la traduzione di Gennaro Vitiello, e vedrà interpreti Roberta Aprea, Marco Aspride, Michelangelo Esposito, Simone di Meglio, Francesco Perrone, Sabrina Silvestri, per la regia di Riccardo Pisani.

Un cubo metallico campeggia al centro della scena, dove giace una giovane donna, Beatrice, bianca come la purezza che rappresenta. Dorme, come per sfuggire ai suoi incubi popolati da bestie affamate, mentre uomini rapaci si scagliano su di lei come a dilaniarne il suo essere. Al pari di Prometeo la giovane donna non può nulla.

Quando il delitto è compiuto, non le resta che rifugiarsi all’interno di un luogo protetto dal quale può ascoltare senza essere vista. Intorno a lei si palesa un mondo in guerra: affari, potere, soprusi e congiure raccontano l’ineluttabile destino di una famiglia che si nutre di crudeltà.

La sintesi perfetta di tutto questo marciume è il conte Cenci, un padre/padrone autoritario, tronfio e beffardo. E’ un uomo disposto a sbarazzarsi della propria progenie, rinchiudere i propri familiari e soddisfare i suoi incestuosi desideri, unicamente per affermare la sua personale leggenda. Un uomo considerato troppo ingombrante dal potere costituito.

Tratto da una storia vera, I Cenci, fu scritto da Artaud per concretare la sua idea di ‘dramma crudele’. La storia della famiglia Cenci è qualcosa di molto contemporaneo e, in qualche modo, racconta con agghiacciante chiarezza le piaghe più oscure dell’animo umano. È una storia potenzialmente inesauribile, che si rigenera nel tempo e nello spazio, mostrando la grandezza dell’opera del drammaturgo francese.

 

I Cenci di Antonin Artaud

Napoli, Teatro Elicantropo – da giovedì 14 a domenica 17 marzo 2019

Inizio spettacoli ore 21.00 (da giovedì a sabato), ore 18.00 (domenica)

Info e prenotazioni al 3491925942 (mattina), 081296640 (pomeriggio)

Da giovedì 14 a domenica 17 marzo 2019

Napoli, Teatro Elicantropo

(repliche venerdì e sabato ore 21.00, domenica ore 18.00)

 

Contestualmente Teatro

nell’ambito della rassegna

“Alla ricerca del tempo vissuto. Una finestra sull’opera di Gennaro Vitiello”

presenta

 

I Cenci

di Antonin Artaud

adattamento e traduzione Gennaro Vitiello

 

con

Roberta Aprea, Marco Aspride, Michelangelo Esposito,

Simone di Meglio, Francesco Perrone, Sabrina Silvestri

 

musiche originali Lenny Pacelli, Diego Sambataro

guarattelle Selvaggia Filippini,disegno luci Delio Fusco

scene Francesca Rota, costumi Gina Oliva

 

regia Riccardo Pisani

 

durata della rappresentazione 55’ minuti circa

 

Un cubo metallico campeggia al centro della scena. Lì giace una giovane donna, Beatrice, bianca come la purezza che rappresenta. Lei dorme, come per sfuggire ai suoi incubi popolati da bestie affamate. Uomini rapaci che su di lei si scagliano come a dilaniare il suo essere. Al pari di Prometeo la giovane donna non può nulla.

Quando il delitto è compiuto, non le resta che rifugiarsi all’interno di un luogo protetto dal quale può ascoltare senza essere vista. Intorno a lei si palesa un mondo in guerra: affari, potere, soprusi e congiure raccontano l’ineluttabile destino di una famiglia che si nutre di crudeltà.

La sintesi perfetta di tutto questo marciume è il conte Cenci, un padre/padrone autoritario, tronfio e beffardo. Un uomo disposto a sbarazzarsi della propria progenie, rinchiudere i propri familiari e soddisfare i suoi incestuosi desideri, unicamente per affermare la sua personale leggenda. Un uomo considerato troppo ingombrante dal potere costituito.

Tra lui e Camillo, il legato del Papa, si instaura da subito una sorta di psicologica partita a scacchi fatta di strategia, tempismo e astuzia. Cenci e Camillo sono nemesi in equilibrio tra loro e il loro incontro/scontro è terreno fertile per gli uomini piccoli che, fiutando l’odore di ricompensa, si attrezzano per ordire l’assassinio del conte.

 

È Orsino, un semplice prete, a convincere prima Giacomo, il figlio diseredato da Cenci, e poi sia Beatrice che Lucrezia, la moglie del conte, ad ordire la congiura. I quattro, con un certo gusto voyeuristico, assistono allo spettacolo dei primi due omicidi falliti, raccontati con scherno dallo stesso Cenci.

Il cubo diventa quindi teatrino di guarattelle, e mentre un incessante temporale riecheggia nello spazio, un misto di tensione, paura e frustrazione portano invece a un terzo tentativo, questa volta riuscito, che si concretizza in un cruento e brutale omicidio ad opera della stessa Beatrice.

Cenci muore e questa volta il cubo non rappresenta più né il rifugio di Beatrice né il luogo dove Cenci voleva esiliare le due donne. Nella sua ultima trasformazione il cubo diventa una sorta di mausoleo eretto in memoria di Cenci, la cui morte però non mette fine alla spirale di violenza e crudeltà.

Scomparso Cenci, Camillo può tornare indisturbato da vincitore. Non esiste più un potere che possa contrastarlo e ne approfitta per arrestare i congiurati e torturarli. A nulla serve l’intervento di Bernardo, l’altro figlio di Cenci, che non può salvare madre e sorella dalle torture loro riservate.

A Bernardo sarà risparmiata la vita e a Beatrice, condannata a morte, resterà appena il tempo di rendersi conto di essersi trasformata da vittima in carnefice. Solo grazie a questo potrà finalmente espiare in modo catartico la sua stessa crudeltà. Beatrice prima di morire si riscopre identica a suo padre.

Il tempo della scena è scandito dal ritmo degli incubi. Tre volte Beatrice sarà sopraffatta, ma ogni volta l’incubo avrà una valenza e una declinazione diversa. Alla fine, prima che il sipario cali sull’intera vicenda, sarà lei stessa a diventare il suo proprio incubo.

In scena, insieme agli attori ci saranno anche i musicisti che hanno lavorato alle tracce audio e durante la rappresentazione interverranno con innesti live. La scelta di costruire la scena attraverso una sperimentazione musicale vuole essere una scelta fedele ai dettami di Artaud, che voleva rendere i suoni dei veri e propri protagonisti delle sue opere.

La scelta dei costumi, una commistione di antico e moderno, vuole rendere omaggio al valore atemporale dell’opera di Artaud che pur essendo collocata in un preciso periodo storico, ha un evidente valore universale.

La storia della famiglia Cenci è qualcosa di molto contemporaneo e in qualche modo racconta con agghiacciante chiarezza le piaghe più oscure dell’animo umano. È una storia potenzialmente inesauribile che si rigenera nel tempo e nello spazio ed è questa caratteristiche che dimostra la grandezza dell’opera di Artaud.

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