L’Acquario Romano ha ospitato oggi il convegno promosso dalla Casa dell’Architettura e da Poste Italiane dedicato al Palazzo delle Poste di Napoli e all’architettura postale fra le due guerre.
L’iniziativa ha preso spunto dalla presentazione del volume “La fabbrica dell’innovazione – Gli arredi del palazzo delle Poste. Napoli – 1936” di Alfonso Morone, docente all’Università Federico II di Napoli, realizzato con la collaborazione dell’Archivio Storico di Poste Italiane.
L’apertura dei lavori è stata affidata al responsabile della Commissione Cultura della Casa dell’Architettura Francesco Aymonino e al responsabile Property di Poste Italiane Giuseppe Antonino. Mauro De Palma dell’Archivio Storico di Poste Italiane si è invece soffermato sul ruolo dei Palazzi delle Poste nella costruzione di un’identità nazionale. Nel corso del convegno sono stati anche proiettati filmati d’epoca dell’Archivio Storico di Poste Italiane e di Cinecittà Luce.
La storia dei palazzi delle Poste progettati tra le due guerre mondiali rappresenta una pagina molto significativa nella storia dell’architettura del Novecento. Negli anni Trenta infatti, in Italia coesistono correnti che interpretano in modo diverso il carattere di monumentalità richiesto a questi edifici, chiamati a simboleggiare la presenza dello Stato attraverso i palazzi delle istituzioni.
Ma i palazzi delle Poste di questi anni sono caratterizzati anche da un’alta funzionalità, fortemente centrata sulla loro destinazione d’uso. Alla monumentalità delle grandi facciate si affianca infatti il dinamismo dell’epoca moderna, caratterizzato dal vortice incessante delle corrispondenze, dal ronzio degli apparecchi Hughes e Morse in continuo movimento.
Il progetto del palazzo delle Poste di Napoli prende vita all’interno del più ampio piano di risanamento del quartiere Carità, progettato alla fine dell’Ottocento e attuato negli anni Trenta, dopo una serie di sventramenti e demolizioni delle vecchie case cadenti.
L’edificio va a collocarsi all’interno di un “Centro delle Istituzioni” rappresentative del Regime, previsto dal piano di bonifica: Palazzi della Questura, della Provincia, della Finanza, dei Mutilati e, appunto, delle Poste.
Per la realizzazione del palazzo viene bandito un concorso nel 1928 che seleziona cinque progetti; un secondo concorso nel 1930 vedrà vincitore il progetto di Giuseppe Vaccaro a cui si affiancherà, nella successiva fase esecutiva il collega Gino Franzi. È proprio nella fase esecutiva che il progetto prende vita liberando la facciata dell’edificio da ogni fronzolo o orpello. La sua monumentalità è così affidata alla purezza delle linee e alle armonie volumetriche ottenute per “occultamento”: i montanti verticali dei grandi cristalli sopra le porte d’accesso vengono incastrati nel marmo affinché non intacchino la pulizia formale dell’enorme facciata.
L’edificio nel suo insieme appare un gigantesco oggetto di design industriale. Tutto l’arredo è disegnato ad hoc: dai calamai agli orologi, alle insegne, i divisori di vetrocemento, i tavoli in marmo rosso di Monte Amiata, con una maniacale aspirazione alla perfezione.