L’edizione di quest’anno presenta nuovi indicatori in due settori: in Strutture produttive sono inseriti i risultati del Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche del 2015, con gli indicatori relativi al personale dipendente nelle Istituzioni pubbliche e alla presenza femminile negli Organi di vertice nelle istituzioni pubbliche; in Scienza, tecnologia e innovazione si dà conto delle imprese che utilizzano il canale di internet per lo sviluppo della propria attività.
L’ITALIA IN EUROPA, UN QUADRO DI SINTESI
Il quadro dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che emerge dagli indicatori presentati in Noi Italia delinea un Paese in netto miglioramento in molti ambiti. Rimangono, tuttavia, alcuni importanti punti di debolezza, individuabili in una posizione dell’Italia tuttora non sempre in linea con la media dei paesi dell’Ue e distante dai principali partner, soprattutto con riferimento al Mezzogiorno. Nonostante i progressi realizzati non si è, infatti, colmato il divario riguardo la performance del sistema produttivo nel suo complesso e, malgrado i molteplici segnali positivi, permane forte il ritardo del nostro Paese in diversi campi, come mercato del lavoro, istruzione, formazione e conoscenza in generale.
L’Italia riveste però un ruolo di primo piano tra i paesi dell’Ue in alcune aree. Si rafforza la sua vocazione nel settore delle eccellenze agroalimentari, con il maggior numero di riconoscimenti Dop, Igp e Stg conferiti dall’Unione europea. I prodotti di qualità si confermano un importante fattore di competitività delle realtà agricole locali e in questo ambito gli anni più recenti hanno visto i produttori del Mezzogiorno crescere sistematicamente più di quelli del Centro-Nord, fino ad arrivare a rappresentare oltre un terzo del totale. Relativamente alla valorizzazione del territorio, il Mezzogiorno rimane invece in ritardo nella diffusione degli agriturismi
Storicamente molto rilevante per l’economia italiana, il settore del turismo presenta una performance in media più favorevole rispetto al complesso dei paesi dell’Unione, anche se negli ultimi anni l’evoluzione della capacità ricettiva è stata più sostenuta in paesi vicini. In questo ambito ulteriori progressi sarebbero consentiti da un maggiore sviluppo del Mezzogiorno che, nonostante le potenzialità di attrazione per la sua ricchezza paesaggistica, testimoniata anche dalla più elevata incidenza di superficie destinata ad aree protette, si caratterizza ancora per un’offerta inferiore alla media nazionale. Un altro campo in cui i progressi del Mezzogiorno farebbero migliorare la collocazione relativa dell’Italia rispetto ai paesi Ue riguarda la tutela dell’ambiente e la pressione esercitata su di esso: a livello nazionale il conferimento di rifiuti in discarica è ancora appena superiore alla media dell’Ue, ma alcune regioni del Nord hanno performance allineate ai paesi europei più virtuosi.
Il nostro Paese conferma il buon andamento per gli aspetti legati alla salute e al welfare, mantenendo una posizione più favorevole rispetto alla media europea in numerosi ambiti. Nonostante la spesa sanitaria pubblica italiana risulti ancora inferiore a quella dei più importanti partner europei, e l’incidenza della spesa privata sia più elevata, i principali indicatori di mortalità (infantile, per tumori e per malattie circolatorie) collocano il nostro Paese tra i dieci con i tassi più contenuti, mentre relativamente agli stili di vita si conferma la minore incidenza di adulti in eccesso di peso. L’Italia presenta del resto un’aspettativa di vita fra le più alte in ambito europeo, occupa il secondo posto per gli uomini e il quarto per le donne: la speranza di vita (indicatore sintetico della qualità delle condizioni di vita) nasconde tuttavia l’esistenza di disuguaglianze a livello territoriale, riassumibili in uno svantaggio del Mezzogiorno di circa un anno rispetto al resto del Paese, che diventano circa tre considerando gli estremi della provincia autonoma di Trento (valore più alto) e la Campania (valore più basso).
La positiva intonazione del ciclo economico ha prodotto miglioramenti in senso assoluto per alcuni indicatori a esso maggiormente legati. Emerge però evidente la connessione tra il ritardo in ambito europeo e la forbice a livello territoriale. I progressi ottenuti in tema di aumento dell’occupazione e riduzione della disoccupazione non sono riusciti a colmare la distanza che separa il nostro Paese dal resto dell’Ue e a modificarne sostanzialmente la posizione relativa. Ha contribuito a ciò il perpetuarsi, e in qualche caso ampliarsi, del divario territoriale a svantaggio del Mezzogiorno, con una polarizzazione delle diverse aree del Paese agli estremi della graduatoria europea. Nonostante la crescita dell’occupazione, la distanza tra il tasso italiano ed europeo si mantiene elevata (oltre nove punti percentuali) e l’Italia si colloca al terzultimo posto della graduatoria decrescente. A livello territoriale, però, il Centro-nord ha recuperato il terreno perso negli anni della crisi, con un tasso nel caso del Nord-est anche più elevato di quello medio europeo nel 2016; il Mezzogiorno è, invece, ancora lontano dal superare il valore del 2008, con un tasso che occupa l’ultima posizione nella graduatoria dell’Ue. Specularmente, le regioni meridionali rimangono caratterizzate da tassi di disoccupazione e mancata partecipazione particolarmente alti, che spingono l’Italia agli ultimi posti tra i paesi europei.
Ampi squilibri territoriali, a sfavore del Mezzogiorno, permangono anche per molti indicatori dell’istruzione, della formazione e della conoscenza in generale, contribuendo a mantenere l’Italia lontana dai risultati raggiunti dai partner europei.
POPOLAZIONE E SOCIETÀ
Popolazione
Nel 2016, con il 12% degli oltre 511 milioni di abitanti dell’Ue, l’Italia si conferma il quarto paese europeo per importanza demografica dopo Germania, Francia e Regno Unito. Oltre un terzo della popolazione italiana è concentrata in tre regioni: Lombardia, Lazio e Campania. Con riferimento alle quattro grandi ripartizioni geografiche, il Mezzogiorno è l’area più popolata del Paese, ma è anche quella che ha perso più popolazione rispetto all’anno precedente.
Dopo tre anni di rallentamento, nel 2016, la dinamica migratoria aumenta leggermente, grazie all’incremento delle iscrizioni dall’estero a fronte della crescita delle cancellazioni verso l’estero (coloro che lasciano il nostro Paese, di cittadinanza italiana o no). Il bilancio naturale della popolazione continua a presentare valori negativi in tutte le ripartizioni, ma con un’intensità nel Mezzogiorno inferiore a quella del Centro-nord.
Non si ferma la crescita degli indici di vecchiaia e di dipendenza: al 1° gennaio 2017 ci sono 165,3 anziani ogni cento giovani e 55,8 persone in età non lavorativa ogni cento in età lavorativa. In ambito europeo, l’Italia si attesta al primo posto nella graduatoria decrescente per l’indice di vecchiaia, superando la Germania (rispettivamente 161,4 e 159,0% nel 2016); al quarto posto dopo Francia, Svezia e Finlandia per l’indice di dipendenza (55,5% in Italia, 53,2 la media dell’Unione nel 2016). A livello di ripartizioni, nel Centro-Nord si registrano i valori più elevati dei due indici (rispettivamente 174,3 e 57,8), con una significativa differenza rispetto ai dati del Mezzogiorno (148,7 e 52,3).
In base alle stime 2017, la speranza di vita alla nascita della popolazione residente si mantiene stabile rispetto al 2016: 80,6 anni per gli uomini e 84,9 per le donne, con un divario di sopravvivenza tra i sessi di 4,3 anni. A livello di ripartizioni, si vive più a lungo al Nord, mentre il Mezzogiorno si conferma sotto la media nazionale. In ambito europeo l’Italia presenta una fra le più elevate speranze di vita: al 2° posto per i maschi e al 4°per le femmine (dati 2015).
Nelle stime 2017, il tasso di fecondità rimane invariato rispetto al 2016, con un numero medio di figli per donna (1,34) sensibilmente inferiore alla soglia che garantirebbe il ricambio generazionale (circa 2,1 figli). Anche l’età media della madre non presenta variazioni rispetto all’anno precedente (31,8 anni) e le regioni del Mezzogiorno si confermano, in media, quelle con le madri più giovani (31,5 anni). Nella graduatoria europea della fecondità (relativa al 2015), il nostro Paese si colloca al 23° posto. Soltanto Francia e Irlanda presentano valori di poco inferiori alla soglia di ricambio generazionale (rispettivamente 1,96% e 1,92%).
Con 3,2 matrimoni ogni mille abitanti, l’Italia rimane uno dei paesi dell’Ue in cui ci si sposa meno; solo Portogallo e Slovenia hanno un quoziente di nuzialità più basso (3,1 ogni mille abitanti nel 2015). Nel 2016 il quoziente di nuzialità cresce in tutte le ripartizioni a eccezione del Nord-est; il Mezzogiorno si conferma la ripartizione con la nuzialità più alta e la più bassa percentuale di matrimoni civili.
Nel 2016 in Italia l’incidenza di divorzi è ancora aumentata (16,3 ogni diecimila abitanti da 13,6 nel 2015) anche per effetto dell’entrata in vigore della legge sul “divorzio breve” a maggio 2015. Nel confronto europeo riferito al 2015, il nostro Paese si caratterizza per una quota di divorzi molto esigua, ma risale nella graduatoria decrescente (quint’ultima insieme alla Croazia).
Stranieri
All’inizio del 2017 risiedono in Italia oltre 5 milioni di cittadini stranieri (0,4% in più rispetto all’anno precedente) che rappresentano l’8,3% del totale dei residenti. Nel confronto europeo relativo al 2016, il nostro Paese presenta un’incidenza più elevata della media Ue e si conferma all’11° posto della graduatoria decrescente dei 28 paesi, immediatamente preceduta da Regno Unito (8,6%), Spagna (9,5%) e Germania (10,5%) e prima della Francia (6,6%).
Alla stessa data sono regolarmente presenti poco meno di 4 milioni di cittadini non comunitari (vale a dire gli stranieri non comunitari in possesso di valido documento di soggiorno e gli iscritti sul permesso di un familiare). Si conferma la diminuzione del flusso in ingresso di cittadini non comunitari verso il nostro Paese, un fenomeno in essere dal 2011: nel corso del 2016 i nuovi permessi rilasciati sono stati il 5% in meno rispetto all’anno precedente. La riduzione dei nuovi ingressi ha riguardato soprattutto il Nord-ovest e il Mezzogiorno.
Nel mercato del lavoro continuano a ridursi i divari tra italiani e stranieri: nel 2017 il tasso di occupazione (20-64 anni) degli stranieri si attesta al 63,9% contro il 62,2% degli italiani.
Nell’Unione europea la quota di stranieri occupati è in media leggermente più elevata (64,4% nel 2016). In Italia il tasso di disoccupazione diminuisce in misura più intensa per gli stranieri, che però continuano a presentare una disoccupazione più alta (14,3% contro il 10,8% degli italiani).
Il livello di istruzione degli stranieri è ancora inferiore a quello degli italiani. Nel 2017 tra le persone di 15-64 anni oltre la metà degli stranieri ha al massimo la licenza media, il 35,1% ha un diploma di scuola superiore e il 10,7% una laurea (tra gli italiani il 17,2%).
Cultura e tempo libero
Nel 2016 le famiglie italiane hanno destinato a consumi culturali e ricreativi il 6,6% della loro spesa, un valore decisamente inferiore alla media Ue (8,5%) e superiore solo a quelli di Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Cipro e Grecia.
Nel 2017 la quota di lettori di libri rimane sostanzialmente stabile (41,0%, dal 40,5% del 2016). La lettura di libri si conferma prerogativa dei giovani (tra gli 11 e i 19 anni) e delle donne (70,2% per quelle tra i 18 e i 19 anni). L’8,1% della popolazione di 6 anni e più (dall’8,4% del 2016) utilizza la rete per accedere ai libri in formato digitale. Le giovani donne tra i 15 e 19 anni si confermano i maggiori utilizzatori (oltre il 20%). A livello territoriale il Mezzogiorno fa registrare una minore propensione alla lettura: solo la Sardegna presenta una quota di lettori più alta della media nazionale.
Nel 2017 continua a ridursi la quota di lettori di quotidiani (40,6%, con una contrazione di 17,5 punti percentuali dal 2007); la diminuzione interessa anche la lettura via web (32,3% nel 2017 da 33,8% nel 2016), che rimane forte tra i giovani tra i 25 e i 34 anni. La lettura di quotidiani, online o meno, coinvolge più le regioni del Centro-nord che quelle del Mezzogiorno. Su scala europea l’Italia occupa la penultima posizione nella graduatoria decrescente insieme a Bulgaria e Irlanda, seguite solo dalla Romania.
La propensione alla pratica sportiva diminuisce leggermente rispetto al 2016 e riguarda ancora poco più di un terzo della popolazione, coinvolgendo maggiormente gli uomini rispetto alle donne; poco meno di un quarto dei praticanti vi si dedica in modo continuativo. La quota più elevata di sedentari si riscontra nel Mezzogiorno (25,7%).
Criminalità e sicurezza
Nel 2016 si osserva una complessiva diminuzione dei reati rispetto all’anno precedente. A diminuire sono in particolare gli omicidi volontari (0,66 per centomila abitanti da 0,78 del 2015), ma anche i furti denunciati, sia quelli in appartamento (353,1 per centomila abitanti da 386,5) sia quelli con strappo (27,5 per centomila abitanti da 29,3), e le rapine (54,3 per centomila abitanti da 57,7). Persistono le differenze territoriali: l’incidenza maggiore di omicidi si registra in Campania che si conferma anche la regione con il tasso di rapine più alto (135,4 per centomila abitanti); il Nord-ovest presenta i tassi più elevati per i furti denunciati (2.619,2 per centomila abitanti, rispetto a circa 1.700 nel Mezzogiorno). Nel confronto europeo, con 0,77 omicidi volontari commessi per centomila abitanti, l’Italia occupa la ventiquattresima posizione, sotto la media europea, seguita solo da Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Austria (dati 2015). Le vittime di omicidio di sesso femminile nel 2016 sono il 37,3% del totale (149 casi a fronte dei 400 omicidi volontari totali): in quasi tre quarti dei casi (73,2%) l’assassino va ricercato nella cerchia familiare (partner, ex partner o altro parente). A livello territoriale, il Nord-est presenta la percentuale più alta di vittime fra le donne, ma è nel Nord-ovest che la quota è aumentata maggiormente (57,7%, da 34,0% nel 2015) mentre nel Mezzogiorno è diminuita. Nel confronto con i paesi europei l’Italia si conferma in una posizione intermedia (dati 2015). Nel 2016 la popolazione carceraria aumenta nuovamente dopo due anni di contrazione (90,2 detenuti per centomila abitanti da 86,0 nel 2015) e l’indice di affollamento delle carceri torna a salire leggermente (108,8 per 100 posti letto da 105,2 nel 2015). In ambito europeo, l’Italia si posiziona sotto la media per il tasso di detenzione e tra i quindici paesi con una presenza proporzionalmente minore di detenuti (dati 2015). La percezione del rischio “criminalità”, uno dei problemi maggiormente sentiti dai cittadini, nel 2017 diminuisce sensibilmente per il secondo anno consecutivo, con una quota del 31,9% di famiglie italiane che dichiarano la presenza di problemi di questo tipo nella zona in cui vivono, in calo di oltre 9 punti percentuali dal massimo del 2015 (41,1%).
Condizioni economiche delle famiglie
Tra il 2015 e il 2016 l’incidenza della povertà, sia assoluta sia relativa, rimane sostanzialmente stabile. Si conferma il forte svantaggio del Mezzogiorno dove nel 2016 le famiglie in povertà assoluta rappresentano l’8,5%, mentre quelle in povertà relativa sono quasi un quinto di quelle residenti.
Nel 2015 in Italia la diseguaglianza, misurata in termini di concentrazione del reddito, è più elevata in Sicilia, mentre nelle regioni del Nord-est si riscontra una maggiore uniformità. Nel confronto con i paesi dell’Ue, nella graduatoria in ordine crescente riferita al 2016 (redditi 2015), l’Italia si posiziona al ventunesimo posto (0,331), con un valore più elevato di quello medio europeo (0,308).
Nel 2016 in Italia il 12,1% degli individui vive in condizioni di grave deprivazione (11,5% nel 2015), con incidenze di oltre un quarto della popolazione residente in Sicilia e Campania (26,1% e 25,9% nell’ordine). Il nostro Paese supera di 4,6 punti percentuali la media europea (attestandosi al nono posto tra i paesi con i valori più elevati. Nel 2017 rimane stabile la quota di persone soddisfatte per la propria situazione economica (50,5% come nel 2016), come sintesi di un aumento della quota di coloro che si dichiarano “molto soddisfatti” e una lieve diminuzione di chi si dichiara “abbastanza soddisfatto”. Il livello di soddisfazione per la situazione economica varia molto tra le ripartizioni ed è il Centro a registrare l’aumento più consistente sul 2016 (da 51,9% a 53,5%).
ISTRUZIONE E LAVORO
Istruzione
La spesa pubblica in istruzione nel 2015 incide sul Pil per il 4,0% a livello nazionale, valore più basso di quello medio europeo (4,9%) tanto che l’Italia occupa il terzultimo posto insieme alla Bulgaria. La spesa pubblica per consumi finali in istruzione ha invece una incidenza del 3,5%, variando tra il 5,8% nel Mezzogiorno – dove è più numerosa la popolazione in età scolare – e il 2,8% nel Centro- nord. Prosegue il miglioramento del livello di istruzione degli adulti. Tra le persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni, per effetto dell’ingresso di giovani mediamente più istruiti e l’uscita di anziani in genere meno istruiti, la quota di coloro che hanno conseguito al massimo la licenza media è scesa di oltre 12 punti tra il 2004 e il 2017 (dal 51,8% al 39,5%), ma nel Mezzogiorno rimane ancora vicina al 50% (47,9%). L’Italia risulta quartultima nella graduatoria delle persone di 25-64 anni con livello di istruzione non elevato, con una incidenza di adulti poco istruiti quasi doppia rispetto alla media dell’Ue (rispettivamente 39,9% e 23,0% (dati 2016). Oltre la metà dei giovani tra i 15 e i 24 anni sono impegnati in un percorso di formazione superiore (dati 2015), una quota in lieve diminuzione e inferiore al valore medio dell’Ue (55,5% e 62,3%, rispettivamente). Il Centro si conferma la ripartizione con il valore più elevato (61,1%) mentre il tasso continua a diminuire nel Mezzogiorno (49,8%) e nel Nord-est (59,2%). Nel 2017 in Italia risale leggermente la quota di giovani che abbandonano precocemente gli studi (14,0%; 16,6% tra gli uomini e 11,2% tra le donne); si conferma il superamento del traguardo nazionale del 16% fissato dalla Strategia Europa 2020, ma resta distante l’obiettivo europeo del 10% entro il 2020. L’Italia occupa il quintultimo posto nella graduatoria europea (13,8% contro una media Ue del 10,7% nel 2016), preceduta solo da Malta, Spagna, Romania e Portogallo.
Sono meno di 2,2 milioni (il 24,1% della relativa popolazione) i giovani di 15-29 anni che nel 2017 non sono inseriti in un percorso scolastico e/o formativo e non sono impegnati in un’attività lavorativa, in riduzione per il terzo anno consecutivo. L’incidenza è più elevata tra le donne (26,0%) e nel Mezzogiorno (34,4%). Nel confronto europeo l’Italia si conferma al primo posto dei 28 paesi, seguita da Bulgaria e Grecia, con un valore superiore di 10 punti percentuali rispetto alla media europea (dati 2016). Nel 2017, grazie al contributo femminile, la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni con un titolo di studio universitario sale al 26,9%, valore ancora lontano dal 40% fissato per la media europea e già raggiunto da diciotto paesi. Per quanto in miglioramento, il nostro Paese ricopre la penultima posizione (26,2% contro 39,1% della media Ue, dati 2016), seguita solo dalla Romania. L’apprendimento permanente durante l’arco della vita, fattore decisivo per l’integrazione nel mercato del lavoro, interessa nel 2017 il 7,9% degli italiani tra i 25 e i 64 anni, valore in lieve flessione rispetto all’8,3% del 2016 e inferiore alla media europea (10,8% nei dati 2016).
Mercato del lavoro
Nel 2017 il tasso di occupazione per le persone tra i 20 e i 64 anni sale al 62,3%, ma lo squilibrio di genere a sfavore delle donne si conferma forte (72,3% gli uomini occupati, 52,5% le donne), così come il divario territoriale tra Centro-nord e Mezzogiorno (70,2% e 47,7%, rispettivamente). La distanza con la media dell’Unione europea continua a restare elevata (9,4 punti percentuali) specie tra le donne (13,7 punti): nel 2016 solo Grecia e Croazia hanno un tasso di occupazione inferiore a quello italiano (56,2% e 61,4%), mentre la Svezia registra il valore più elevato (81,2%).
L’incidenza del lavoro a termine nel 2017 cresce al 15,4% e risulta più alta nelle regioni meridionali (19,3%) rispetto al Centro-nord (14,0%). Nello stesso tempo la quota di occupati a tempo parziale rimane sostanzialmente stabile (18,7%, dal 18,8% del 2016): più elevata per le donne, l’incidenza del part time mostra una distribuzione piuttosto uniforme sul territorio nazionale. Anche in Europa quest’ultima modalità di lavoro è largamente più diffusa tra le donne; in particolare nei paesi nord-occidentali (50,5% l’incidenza nei Paesi Bassi nel 2016) mentre lo è poco nei paesi dell’est di più recente adesione all’Unione.
Il lavoro sommerso continua a incidere in misura rilevante a livello nazionale, coinvolgendo nel 2015 il 13,5% degli occupati. Il fenomeno è presente in particolare nel Mezzogiorno, dove quasi un quinto degli occupati è non regolare (19,3%, con un massimo del 23,2% in Calabria). Tra il 2000 e il 2015 il peso dell’occupazione non regolare si è ridotto in tutte le ripartizioni tranne che nel Nord-est (che presenta comunque l’incidenza più bassa, 9,7%). Il lavoro sommerso è caratterizzato da forti specificità settoriali: nell’agricoltura è irregolare oltre un quinto degli occupati.
Nel 2017 il tasso di disoccupazione scende di 0,5 punti rispetto al 2016 (attestandosi all’11,2%) con una maggiore riduzione per la componente maschile. Le differenze territoriali si confermano forti, con un valore per il Mezzogiorno che supera di oltre tre volte quello del Nord-est (19,4% a fronte del 6,3%). Nella graduatoria europea decrescente, l’Italia è al quinto posto (dati 2016).
Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni nel 2017 scende di tre punti rispetto a un anno prima, al 34,7%. Il livello massimo si registra nel Mezzogiorno (51,4%; 55,6% tra le ragazze) e in particolare in Calabria, dove arriva in media al 55,6% (47,8% per i maschi e 69,2% per le ragazze). Nell’Ue, Grecia e Spagna, analogamente all’Italia, presentano valori dell’indicatore più che doppi rispetto a quello medio europeo (18,7%, dati 2016).
Il tasso di mancata partecipazione, che tiene conto di quanti sono disponibili a lavorare pur non cercando attivamente lavoro, nel 2017 diminuisce per il terzo anno consecutivo e si attesta al 20,5%. La riduzione interessa tutte le regioni a eccezione di Liguria, Molise e Basilicata, ma il valore del Mezzogiorno rimane più che doppio rispetto a quello del Centro e oltre tre volte quello del Nord-est (rispettivamente 35,6%, 16,4% e 10,7%). Il distacco tra Italia e media Ue sfiora i dieci punti (21,6% in Italia; 11,8% nell’Ue), ma risulta di oltre 13 punti per la componente femminile (dati 2016).
SALUTE E WELFARE
Sanità e salute
Nel 2015 la spesa sanitaria pubblica italiana si attesta intorno ai 2.500 dollari pro capite (in PPA) a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e dei 4.000 in Germania (fonte Ocse). Nel 2016 le famiglie italiane hanno contribuito alla spesa sanitaria complessiva per il 25,0%, in una posizione intermedia rispetto ai 21 paesi europei considerati. I contributi delle famiglie sono maggiori in Grecia (40,7%), Portogallo, Ungheria, e Polonia (oltre il 30%), minori in Germania, Danimarca e Repubblica Ceca (circa 16%). I tumori e le malattie del sistema circolatorio sono le patologie per cui è più frequente il ricovero ospedaliero, che tuttavia si riduce nel tempo per la cura in contesti assistenziali diversi dagli ospedali (day hospital o ambulatori). Nel 2016 i ricoveri per le malattie circolatorie si confermano più elevati nelle regioni del Centro (1.901,4 per centomila abitanti) mentre i ricoveri per i tumori sono più numerosi nel Nord-est (1.167,4 per centomila abitanti).
L’offerta ospedaliera si riduce per la diminuzione di risorse e per la promozione di un modello di rete ospedaliera integrato con l’assistenza territoriale (nel 2002 i posti letto ordinari erano 4,4 ogni 1.000 abitanti, nel 2015 sono 3,2).
In Italia i decessi per tumori e malattie del sistema circolatorio sono stati rispettivamente 25,6 e 32,9 ogni diecimila abitanti nel 2015. Nel Mezzogiorno la mortalità per tumori si conferma inferiore alla media nazionale (anche se la Campania presenta i tassi di mortalità più elevati tra quelli regionali, con un massimo del 37% per gli uomini) mentre quella per malattie del sistema circolatorio è più elevata. La mortalità per queste cause nel nostro Paese è inferiore alla media europea (27,0% e 37,4% dati 2014). Il decremento del tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un paese, nel 2015 in Italia ha avuto una battuta d’arresto e si attesta a 2,9 per mille nati vivi, tra i valori più bassi in Europa: 7,6 decessi per mille nati vivi in Romania il valore più elevato e 1,6 in Slovenia il più contenuto.
Protezione sociale
In Italia la spesa per la protezione sociale nel 2016 è il 29,7% del Pil. Il nostro Paese presenta valori superiori alla media dell’Ue sia in termini pro capite (di poco sopra gli 8 mila euro l’anno nei dati 2015 per l’Italia, poco sotto per l’Ue) sia di quota sul Pil (27,2% per l’Ue). Per entrambi gli indicatori i valori più bassi si riscontrano nei paesi dell’Europa dell’est.
Nel 2015 la spesa dei comuni per i servizi sociali si attesta allo 0,42% del Pil. In rapporto alla popolazione residente la spesa per il welfare territoriale è pari a circa 114 euro annui, sostanzialmente invariata dal 2013. Tra le ripartizioni, nel Mezzogiorno (a eccezione della Sardegna con una spesa di 228 euro) i livelli di spesa pro capite sono decisamente inferiori a quelli del Centro-nord (70 euro a fronte di 137,3). La spesa per prestazioni sociali (19,2% del Pil nel 2015; quasi 5.234 euro pro capite) è solo in parte coperta dai contributi sociali (14,0% del Pil): l’indice di copertura previdenziale risulta infatti inferiore a 100, invariato rispetto all’anno precedente. L’incidenza sul Pil della spesa per le pensioni (16,9%) si riduce leggermente, invertendo l’andamento di crescita osservato negli anni precedenti. A livello territoriale, il Mezzogiorno è l’unica ripartizione che registra un’incidenza più elevata della media nazionale Nell’anno educativo 2014/2015 i comuni italiani che hanno offerto almeno un servizio tra asili nido, micronidi e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia risultano il 55,7% del totale, in riduzione dal 57,3% dell’anno precedente; in calo anche i bambini accolti nelle strutture pubbliche o finanziate dal settore pubblico (12,6% dal 12,9% precedente). La disparità fra le regioni nella diffusione di servizi per l’infanzia è particolarmente ampia, con forti divari tra Mezzogiorno e Centro-nord.
INDUSTRIA E SERVIZI
Turismo
Nel 2016 si contano in Italia 178.449 esercizi ricettivi con più di 4,9 milioni di posti letto, in crescita rispettivamente del 6,4% e dello 1,3% rispetto al 2015. L’offerta italiana (81,5 posti letto per 1.000 abitanti, settima in graduatoria) si conferma superiore a quella media dell’Ue e dei principali paesi europei (Germania, Spagna e Francia), ma rimane inferiore all’offerta, tra le altre, di Croazia, Austria e Grecia. Nel complesso degli esercizi ricettivi le presenze sono state 402,9 milioni, il 2,6% in più rispetto al 2015. La durata media del soggiorno nelle strutture ricettive rimane sostanzialmente stabile, attestandosi a 3,45 notti. Tutte le regioni del Nord-est si collocano al di sopra della media nazionale per numero medio di notti trascorse dai clienti, insieme a Marche e Toscana nel Centro (5,2 e 3,5 notti), Calabria, Sardegna, Abruzzo, Puglia e Campania nel Mezzogiorno. Il nostro Paese presenta valori superiori alla media dell’Ue (2,94 notti), preceduto in graduatoria da Bulgaria, Spagna, Danimarca, Grecia, Croazia, Malta e Cipro. Nel 2016 i viaggi effettuati dai residenti in Italia per motivi di vacanza rappresentano il 90,6% dei viaggi complessivi, quelli per lavoro il 9,4%. Le durate medie dei soggiorni in Italia sono pari a 5,2 e a 2,3 notti rispettivamente per vacanza e per lavoro. Le regioni più visitate dai residenti sono Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia, Lazio e Trentino-Alto Adige che hanno ospitato il 56% dei flussi turistici. A livello europeo, in base ai dati sulla partecipazione al turismo per vacanze lunghe (almeno 4 notti) il nostro Paese (36,3%) registra nel 2015 un valore inferiore sia alla media Ue (49,0) sia ai paesi vicini (Germania, Francia, Austria e Spagna).
Strutture produttive
Nel 2015 continua in Italia la riduzione del numero delle imprese (poco più di 60 ogni mille abitanti, dal 66,1 del 2007), anche se il nostro Paese si conferma tra i primi 10 in Europa per densità di attività produttive. Tra i principali partner, Germania, Francia presentano valori più bassi della media dell’Ue28 (45,8) mentre la Spagna la supera leggermente (53,1). La dimensione media delle imprese italiane (3,9 addetti) è notevolmente inferiore al valore medio europeo (5,9) e superiore solo a quelle di Grecia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Portogallo. A livello territoriale, il Mezzogiorno si contraddistingue per la dimensione media più contenuta (2,8 nel 2015).
L’incidenza dei lavoratori indipendenti sul totale dei lavoratori delle imprese nel 2015 si riduce leggermente (al 29,4% dal precedente 29,8%), ma fra i paesi dell’Ue (13,3% la media) risulta secondo solo alla Grecia; tra le maggiori economie dell’area, Germania e Francia presentano quote molto più contenute e inferiori al 9% (8,5 e 8,7% rispettivamente). L’analisi territoriale segnala una propensione all’imprenditorialità maggiormente elevata nel Mezzogiorno (36,8%). La competitività delle imprese italiane aumenta anche nel 2015: le imprese italiane producono mediamente circa 128 euro di valore aggiunto per addetto ogni 100 euro di costo del lavoro unitario (125,2 nel 2014). Il Nord-ovest conferma livelli di competitività più elevati (133,2) mentre il Mezzogiorno registra valori inferiori alla media nazionale (117,0). A livello settoriale le costruzioni continuano a presentare la situazione di più bassa competitività. Rispetto ai partner europei (dati 2014) permane la situazione di sofferenza delle imprese italiane, al terzultimo posto della graduatoria decrescente e con una competitività superiore solo a quella di Francia e Grecia. Nel 2015 nelle istituzioni pubbliche il rapporto tra dipendenti pubblici e popolazione residente risulta in lieve diminuzione rispetto al 2011. Negli organi di vertice delle Istituzioni la presenza femminile raggiunge appena il 14,4%, con forti differenze territoriali ( più bassa è in Sicilia e quello più alta in Emilia-Romagna).
Infrastrutture e trasporti
Nel 2016 la rete autostradale italiana si estende per 6.943 km e rappresenta circa il 9% di quella europea, e in rapporto alle autovetture registrate rimane pressoché stabile (1,83 Km per 10 mila vetture). L’Italia è tra i paesi dell’Unione a più bassa intensità autostradale, ben lontana dai valori di Spagna, Francia e Germania (tra 2,9 e 6,9 Km per 10 mila vetture nel 2015).
Il tasso di motorizzazione aumenta per il terzo anno consecutivo e nel 2016 si attesta a 625 autovetture ogni mille abitanti (era sceso a 608,1 nel 2013). A livello territoriale, l’aumento è più forte nel Nord-est ma il Centro si conferma la ripartizione con il valore più elevato (647,3 autovetture ogni mille abitanti). Nel confronto europeo l’Italia è di gran lunga uno dei paesi più motorizzati, preceduta solo da Lussemburgo e Malta.
Nel 2016 riprende a diminuire il numero delle vittime della strada, dopo l’aumento registrato l’anno precedente (54,2 ogni milione di abitanti da 56,4). La mortalità stradale conferma la presenza di differenze territoriali importanti, con sei regioni che registrano tassi inferiori alla media nazionale. Il numero dei decessi per incidente stradale nel nostro Paese si conferma superiore sia a quello medio europeo sia a quello dei principali partner. Nel 2016 l’Italia dispone di una rete ferroviaria pari a 27,6 km ogni centomila abitanti, con una disponibilità analoga nel Centro-nord e nel Mezzogiorno; tuttavia quest’ultimo ha una quota a binario non elettrificato quasi del 42% e una quota a binario per l’alta velocità del 2,4% (6,9% nel Centro-nord) . Nel confronto europeo, l’Italia presenta una dotazione molto al di sotto della media, seguita solo da Regno Unito, Portogallo, Grecia e Paesi Bassi.
Nell’Unione europea nel 2016 si registra una lieve flessione nel trasporto aereo dei passeggeri. Rapportando i dati alla popolazione, il nostro Paese si situa tra quelli a intensità medio-bassa. Si continua a volare di più in Lombardia, Lazio, Veneto, Sicilia e Sardegna: le prime tre regioni registrano un alto numero di voli internazionali; a queste si aggiungono le due isole con riferimento alla domanda di voli nazionali. Nel 2016 il trasporto di merci su strada ha sviluppato un traffico pari a 18,6 milioni di tonnellate-km (t-km) per diecimila abitanti, in aumento del 2,2% rispetto al 2015. Il volume di traffico italiano è inferiore a quello di tutti i principali partner dell’area dell’euro e superiore solo a quello di Cipro.
Dopo le flessioni del biennio 2012-2013 e del 2015 il movimento delle merci in navigazione di cabotaggio cresce nel 2016 di quasi il 10% rispetto al 2015 e supera il cabotaggio del 2011. Nel confronto europeo, il nostro Paese si attesta al 4° posto per volume del traffico container (dati 2015).
Scienza, tecnologia e innovazione
Nel 2015 la spesa per ricerca e sviluppo in Italia aumenta in termini sia nominali sia reali (nell’ordine +1,7% e +0,9% rispetto la 2014) e si stabilizza in rapporto al Pil (1,34%). Il valore del nostro Paese è inferiore a quello medio europeo (2,03%), ancora distante dall’obiettivo nazionale della Strategia Europa 2020 (1,53%) e dal target europeo del 3%.
Nel 2017 la quota di imprese con almeno 10 addetti che utilizzano un sito web per presentare la propria attività sale al 72,1% (46,3% nel 2004), ma l’Italia si colloca al diciannovesimo posto tra i paesi dell’Ue. Finlandia, Danimarca e Svezia sono ai primi posti, con quote superiori al 90%. A livello territoriale, le imprese del Mezzogiorno sfruttano meno rispetto a quelle localizzate nel resto del Paese la possibilità di accedere a mercati più ampi attraverso l’utilizzo del web: quasi 16 punti percentuali le distanziano da quelle del Centro-nord.
Gli addetti alla ricerca e sviluppo (in unità equivalenti a tempo pieno) nel 2015 sono 4,3 ogni mille abitanti, in aumento rispetto al 2014 ma la distanza dall’Ue (5,6) resta alta e l’Italia si colloca al di sotto di tutte le economie più importanti. Sul territorio nazionale resta elevato il ritardo del Mezzogiorno.
Nel 2017 in Italia aumenta l’utilizzo del web, con il 65,3% della popolazione di 6 anni e più che si connette e il 47,6% che lo fa quotidianamente. Il nostro Paese rimane nelle ultime posizioni della graduatoria decrescente europea (79% la media Ue nel 2016), seguito solo da Grecia, Bulgaria e Romania. Anche la quota di famiglie che dispongono di un accesso a Internet mediante banda larga si conferma inferiore alla media europea (70,2% nel 2017; l’83,0% nell’Ue nel 2016).
AMBIENTE E AGRICOLTURA
Territorio
L’Italia si conferma con la densità della popolazione più alta tra i paesi dell’Unione europea: nel 2016 è di 200,7 abitanti per Km2, con un aumento di quasi otto abitanti dal 2006.
Nel 2017 le aree protette comprese nella Rete Natura 2000 coprono il 19,3% della superficie nazionale, collocando l’Italia al di sopra della media Ue (18,2%). Oltre un quinto del territorio del Mezzogiorno è compreso in questa rete; Sicilia e Sardegna presentano i valori regionali più alti in termini di superficie, con oltre 4.500 chilometri quadrati per ciascuna regione.
Nel 2015, con riferimento alle autorizzazioni a costruire, in Italia continua la progressiva riduzione degli indicatori d’intensità del fenomeno calcolati in base alle famiglie residenti: 1,7 per mille abitanti le nuove abitazioni e 143,6 m² la superficie utile abitabile in nuovi fabbricati residenziali. Per entrambi gli indicatori, in ambito Ue l’Italia si colloca al terzultimo posto della graduatoria decrescente (dati 2016).
Ambiente
Nel 2016 la quantità di rifiuti urbani raccolti si attesta a 496,7 kg per abitante, con aumento del 2,2% rispetto all’anno precedente dovuto in parte alla nuova metodologia di calcolo (che inserisce tra questi anche i rifiuti inerti prodotti da piccoli interventi nelle abitazioni, prima considerati rifiuti speciali). A livello territoriale, le maggiori quantità di rifiuti urbani si raccolgono nel Centro Italia; Emilia-Romagna e Toscana sono i primi produttori, con livelli oltre i 600 kg per abitante. In ambito europeo, il nostro Paese si colloca poco sopra la media, al decimo posto della graduatoria decrescente. La quota di rifiuti raccolti e smaltiti in discarica continua a diminuire e nel 2016 sono 122,6 kg per abitante, e rappresentano meno di un quarto del totale dei rifiuti raccolti. Le migliori performance nella gestione dei rifiuti urbani spettano alla provincia autonoma di Bolzano, al Friuli-Venezia Giulia, alla Campania e alla Lombardia con una quota di smaltimento inferiore al 4,5% del totale dei rifiuti urbani raccolti. Nel contesto europeo, l’Italia é poco sopra la media sia per i rifiuti raccolti sia per quelli smaltiti in discarica (rispettivamente 495 e 123 kg per abitante in Italia, 480 e 117 kg per abitante per l’Ue).
La raccolta differenziata, fattore strategico per la corretta gestione dei rifiuti, nel 2016 raggiunge il 52,5%, 5 punti percentuali in più rispetto al 2015, pur confermando un andamento fortemente crescente l’obiettivo del 65% previsto per il 2012 resta ancora lontano. Le regioni più virtuose sono la provincia autonoma di Trento e il Veneto che, insieme a Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e provincia di Bolzano, superano ampiamente l’obiettivo del 65%. Con il 15,4% la Sicilia si conferma la più lontana dai target europei. Nel secondo periodo d’impegno del protocollo di Kyoto (2013-2020), i paesi dell’area Ue hanno l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del 20% rispetto al livello del 1990. Tra il 1990 e il 2015 l’Italia le ha ridotte del 16,7%, passando da 520 milioni di tonnellate di CO2 equivalente a 433; nella media Ue la diminuzione complessiva è stata del 23,7%. Nel 2017 si riduce rispetto all’anno precedente la percentuale di famiglie che percepiscono inquinata l’aria della zona in cui vivono (36,9%) e, anche se di poco, quella che segnala la presenza di odori sgradevoli (20,4%). Sull’inquinamento dell’aria sono le famiglie del Nord-ovest a segnalare maggiormente il problema mentre la percezione di odori sgradevoli interessa di più quelle del Mezzogiorno e, tra le regioni, Puglia e Campania (26,7% e 25,9% rispettivamente). Nel 2016 sono 5.518 le aree adibite alla balneazione in Italia, rappresentate dalle acque marino-costiere, di transizione e interne superficiali. Rispetto agli anni precedenti si conferma l’aumento delle acque con qualità eccellente che raggiungono il 90,8% (3,6 punti in più rispetto al 2013). A livello europeo, le acque eccellenti sono l’85,5%, con un incremento di 2,9 punti percentuali rispetto al 2013.
Agricoltura
Nel 2016 la distribuzione di fertilizzanti semplici per uso agricolo aumenta a 0,12 tonnellate per ettaro di superficie agricola utilizzata (Sau) mentre diminuisce quella di principi attivi (4,85 kg per ettaro di Sau). A livello territoriale, il Nord-est si conferma la ripartizione dove è più elevata la distribuzione per uso agricolo di principi attivi per ettaro di Sau e di fertilizzanti semplici. I prodotti agroalimentari di qualità si confermano una componente importante del comparto agroalimentare italiano e il nostro Paese registra anche nel 2016 il numero di certificazioni più elevato a livello comunitario (291, 13 in più rispetto al 2015). I prodotti agroalimentari di qualità italiani coprono oltre un quarto del totale (27,0%) dei riconoscimenti Dop, il 17,8% dei riconoscimenti Igp e il 3,7% di quelli Stg rilasciati dalla Unione europea. L’agriturismo conferma la tendenza strutturale alla crescita con un aumento del numero di aziende agricole tra il 2006 e il 2016 del 35,2% (da 16.765 a 22.661); più di un agriturismo su tre è a conduzione femminile (36,0%), quota sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni. Nel 2016 la crescita del numero degli agriturismi è più vivace nel Mezzogiorno (+6,3%, 261 unità in più) rispetto al Centro (+1,8%) mentre nel Nord la presenza si mantiene stabile (+0,3%).
Energia
Nel 2016 sono in aumento sia i consumi elettrici per abitante sia la produzione lorda di energia elettrica, che crescono rispettivamente dell’1,3% (a 4.867,9 KWh per abitante) e del 2,5% (a 47,8 GWh per diecimila abitanti) rispetto al 2015. Il Nord-est si segnala per consumi e produzione lorda di energia elettrica più alti. I consumi elettrici per abitante risultano inferiori alla media nazionale in tutte le regioni del Mezzogiorno a eccezione della Sardegna. Per il nostro Paese entrambi gli indicatori energetici risultano inferiori alla media europea e a quelli degli altri paesi di grandi dimensioni (dati 2015). Nel 2016 l’incidenza dei consumi di energia elettrica coperti da fonti rinnovabili sul consumo interno lordo di energia elettrica rimane invariata rispetto al 2015 (33,1%). Sul territorio, la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si conferma in quantità superiore alla richiesta interna in Valle d’Aosta e nella provincia autonoma di Bolzano. In ambito europeo, in base ai dati di fonte Eurostat, l’Italia si posiziona al nono posto della graduatoria decrescente e sopra la media dei 28 paesi Ue: rispettivamente 34,0% e 29,6% la quota per consumi di energia elettrica generata da fonti rinnovabili.
ECONOMIA E FINANZA PUBBLICA
Macroeconomia
Nel 2016 la quota dei consumi finali sul Pil si riduce leggermente (al 79,6% da 79,8% del 2015), ma si mantiene più elevata rispetto alla media dei 28 paesi Ue (76,3%) e ai principali paesi dell’area. La quota degli investimenti sale al 17,1%, confermandosi inferiore alla media europea (19,8%).
La quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni mondiali di merci aumenta da 2,82% nel 2015 a 2,94% nel 2016 e il nostro Paese si colloca al quarto posto nella graduatoria europea. Cresce per il terzo anno consecutivo la presenza di operatori commerciali italiani nell’area Ue (oltre 158 mila). A livello territoriale, il contributo principale alle vendite italiane sui mercati esteri proviene dal Nord-ovest (39,4%, ma in riduzione per il secondo anno) e dal Nord-est (32,5%); la quota più contenuta è quella del Mezzogiorno (10,3%, sostanzialmente stabile da tre anni). Tra il 2010 e il 2016 la produttività del lavoro italiana è aumentata dello 0,8%, un ritmo decisamente inferiore a quello medio europeo (+6,1%) e dei principali paesi. Nel 2017 l’inflazione al consumo ha segnato il primo rialzo dopo tre anni di sostanziale invarianza. A livello territoriale, la dinamica dei prezzi al consumo risulta in linea con il dato nazionale nel Mezzogiorno e nel Centro; nel Nord-ovest e nel Nord-est se ne distanzia per un decimo di punto in meno e in più rispettivamente. A livello europeo, l’inflazione italiana si conferma inferiore a quella media dei paesi Ue per 4 decimi di punto, come nel 2016. Nel 2016 l’Italia è l’unico tra i paesi dell’Ue (+4,3% in media nei 28 paesi) a registrare ancora una caduta dei prezzi delle abitazioni, anche se l’intensità è più contenuta (-0,8% nel 2016 rispetto al -2,6% nel 2015).
Il rapporto dice anche altro. Cala il numero di reati ma non per la Campania. L’Istat evidenzia che “persistono le differenze territoriali: l’incidenza maggiore di omicidi si registra in Campania che si conferma anche la regione con il tasso di rapine più alto (135,4 per centomila abitanti); il Nord-ovest presenta i tassi più elevati per i furti denunciati (2.619,2 per centomila abitanti, rispetto a circa 1.700 nel Mezzogiorno).