di Corinne Bove
“La Grande Bellezza”, il film di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar ad Hollywood come miglior film straniero, ha smosso non poco il mondo della critica. Mi sono divertita a leggere ed ad ascoltare i commenti di quanti, incollati al televisore, hanno seguito attentamente l’opera cinematografica con l’intento di darne la “giusta” interpretazione.
Un’osservazione fatta dalla maggior parte dei telespettatori è stata quella di aver riscontrato l’assenza di continuità narrativa. In poche parole, lo spettatore vuole ascoltare o vedere una storia che abbia un inizio, un prosieguo e possibilmente una conclusione (meglio se a lieto fine). Secondo il mio modesto parere “La Grande Bellezza” rappresenta totalmente la società odierna nella più bieca moralità, e credo che la mancanza di continuità, che poi dovrebbe dar luogo alla trama, si associ all’ineluttabile sorte dell’agire umano stinto e privato di quei punti di riferimento che una volta si chiamavano “valori”. Ciò è da ricondursi, in parte, all’estremo bisogno, oggi, di apparire, di omologarsi a stereotipi che conducono gli attanti ad un perverso servilismo sociale. Un giro di boa da cui è difficile uscire se non plasmati.
L’unica vera protagonista è Roma, sempre bella, sontuosa nelle sue forme monumentali e teatro indiscutibile della Dolce Vita. Eppure ne “La Grande Bellezza” resta solo un ricordo di quell’eleganza che contraddistingueva le dolci note dei personaggi felliniani. La città fa da sfondo a volgari festini, a personaggi grotteschi che manifestano nella loro più totale libertà di espressione una realtà priva di identità e colma di false certezze. Per non parlare degli intellettualoidi ipocriti, che ostentano la loro impareggiabile (secondo loro) cultura nonchè un disgustoso perbenismo (ma solo di facciata) a fronte di quei clichè mondani a cui, però, per convenienza, si adeguano. Lamentano la loro insoddisfazione, avviluppandosi in quel vittimismo che è tipico di coloro che denunciano il sistema sociale in quanto colpevole dei loro fallimenti. Qullo stesso sistema di cui, se capita una buona occasione, fa comodo farne parte.
Un’altra osservazione che ne deriva è la presenza dell’elemento religioso che si propone da un lato come forza totalmente opposta ed imperante, dall’altro dimostra, invece, di essere labile ed accondiscendente.
Sacro e profano a confronto dunque, dove però la sacralità rischia di profanarsi ed il profano rischia in extremis di affidarsi alla fede.
La Grande Bellezza? Io lo definirei più il grande squallore.
Il merito di Sorrentino, degno vincitore dell’Oscar, è quello di aver dipinto senza scrupoli una società malsana in cui tutti sono colpevoli, spesso a loro insaputa, della loro sorte. Il regista ha denudato quella millantata ideologia dietro alla quale gli individui tendevano a nascondersi più per opportunismo che per convinzione. Una denuncia sociale che, come volevasi dimostrare, ha suscitato non poche critiche nel paese dei balocchi.
E Jep Gambardella, protagonista del film, interpretato magistralmente da Tony Servillo, chissà se mai ritornerà a scrivere…
Corinne Bove