L’eruzione del Vesuvio nelle lettere di Plinio il Giovane a Tacito tradotte in napoletano.

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“Da Caio Plinio a lu cumpagno suio Tacito. Salute. Tu vuó ca te conto comme murette zìemo, p”o pputé ripurtà, senza nisciuna jonta, a cchilli ca sarranno a mmunno ‘ntra quarch’anno. I’ te songo ubbrigato, pecché tengo certezza ca si ne parle tu, ‘a morta soia è destinata a na gròlia senza fine”. Ovvero “Mi chiedi che io ti esponga la morte di mio zio, per poterla tramandare con maggiore obiettività ai posteri. Te ne ringrazio, in quanto sono sicuro che, se sarà celebrata da te, la sua morte sarà destinata a gloria immortale”.

Punta sul fascino e sull’immediatezza del dialetto napoletano, Carlo Avvisati, giornalista e scrittore, per raccontare in ‘Comme s’arricettaie zizìoì, un agile volumetto edito per i tipi di Arte’m, la tragedia vissuta dal territorio durante l’eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C., e descritta nel latino del I secolo d.C. da Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane, in due lettere inviate allo storico Tacito. In quella eruzione, sul litorale dell’antica Stabiae, perse la vita Gaio Plinio Secondo, detto Il Vecchio, naturalista, scienziato, comandante della flotta romana del Mediterraneo, acquartierata a Miseno, accorso sul luogo del disastro con una pesante quadriremi nel tentativo di portare aiuto alle genti che quelle aree abitavano. La sua morte, le fasi parossistiche del vulcano, e quel primo tentativo di operazione di Protezione civile della storia, vennero riportate dal nipote (era figlio della sorella), Plinio il Giovane, nelle lettere a Tacito. “Llà, a rriva ‘e mare, appujato ncoppa a nu panno stiso pe’ tterra, ‘o zìo cercaie nu pare ‘e vote nu surzo d’acqua fresca e s”a bevette. Po’ cierti llampe ‘e fuoco e nu fieto ‘e zurfo ca purtava mmasciata ‘e sciamme, ne fanno fuì a ll’autre e fanno scetà a isso. Appujànnose ncuollo a dduie schiavutielle, ncarraie a s’aizà ncopp”e ggamme, ma subbeto se scunucchiaie”, così descrive Carlo Avvisati gli ultimi istanti di Plinio, traducendo dal latino. Le due missive, essenziali, secondo gli studiosi, per la comprensione delle fasi eruttive, sono considerate come la prima eccezionale cronaca mai scritta di una eruzione del Vesuvio e della catastrofe che sconvolse la vita di migliaia di persone per un raggio di decine e decine di chilometri, seppellendo sotto metri di lapilli e ceneri cittadine come Pompei, Ercolano, Oplontis, Stabiae. La pubblicazione, oltre a rappresentare una novità assoluta in campo editoriale perché propone la due lettere tradotte nella lingua che fu di Basile, Di Giacomo, Ferdinando Russo, va considerata come elemento fondamentale per l’introduzione del lettore comune sia a un evento storico del passato remoto sia alla conoscenza del Vesuvio come vulcano attivo e dalla potenza distruttiva inimmaginabile. Il volume, che ha presentazione, prefazione e postfazione di Agostino Casillo, presidente del parco del Vesuvio, del professor Massimo Osanna, archeologo, direttore generale del Parco Archeologico di Pompei, e del vulcanologo Giuseppe Luongo, professore emerito di Geofisica della terra solida all’Università Federico II di Napoli, già direttore dell’Osservatorio Vesuviano, ha testo latino con a fronte la traduzione in napoletano. In appendice vengono riportate, per una migliore comprensione, le due lettere tradotte in italiano. Un dizionarietto, alla fine di ogni lettera, chiarisce poi i vocaboli napoletani meno comuni.. (ANSA)

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