Navi romane, metodi innovativi per il restauro.

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(da Dire.it) La sfida è di quelle epocali: restaurare le grandi navi romane di Napoli senza smontarle. Un’impresa che vede impegnato l‘Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (Iscr), che avrà il compito di mettere a punto un metodo innovativo per intervenire sui preziosi relitti lignei venuti alla luce con gli scavi per la realizzazione della metropolitana della città partenopea.

LA SCOPERTA

Sette in tutto le imbarcazioni rinvenute tra il 2004 e il 2015, con datazioni che vanno dal II secolo avanti Cristo, dunque di età ellenistica, al III dopo Cristo, risalenti all’epoca imperiale. Una scoperta eccezionale, che testimonia la presenza di un porto nel periodo greco e romano tra le attuali piazza Bovio e piazza Municipio, riorganizzato agli inizi del I secolo dopo Cristo con la costruzione di una banchina, cui si collegavano un molo in legno e uno in cemento romano, fatto di malta e pozzolana, oltre a un asse viario tra ‘Neapolis’ e i Campi Flegrei. Da subito, l’Istituto ha affiancato la Soprintendenza di Napoli, che ha diretto gli scavi, nelle operazioni di recupero e restauro, datazione e analisi dello stato di conservazione dei reperti. “Abbiamo condiviso la scelta di smontare gli ultimi tre relitti rinvenuti, dato il loro stato di conservazione molto differente dai primi due recuperati interi nel 2004”, racconta Barbara Davidde Pietraggi, l’archeologa Iscr che con la restauratrice Antonella Di Giovanni ha progettato le operazioni di recupero, pronto intervento conservativo e immagazzinamento delle navi.

IL RECUPERO

Prima di procedere con il recupero, i relitti sono stati puliti asportando il sedimento dal legno con pennelli e spazzole di setola morbida. “Al tatto- ricorda Davidde- il legno era morbido e spugnoso, con fratture e fessurazioni diffuse”. Finite la pulitura e la documentazione, l’equipe ha smontato le navi, che poi sono state trasportate in un deposito, messo a disposizione dalla metropolitana di Napoli, dove sono state realizzate ad hoc due vasche in cemento chiuse da vetrate, in cui le imbarcazioni sono immerse nell’acqua in attesa di essere restaurate. “A tutte le operazioni hanno partecipato anche alcuni allievi della nostra Scuola di Alta formazione”, spiega l’archeologa. D’accordo con la Soprintendenza, l’Iscr ha chiesto i fondi al ministero dei Beni culturali per la progettazione degli interventi conservativi, il restauro del relitto più antico e dei reperti organici provenienti dagli scavi.

IL PROGETTO DI RESTAURO

Il via libera è arrivato nel 2016 con un piano di finanziamenti di 400mila euro suddiviso in tre anni. “Tra le prime misure adottate, l’Iscr ha acquisito un nuovo liofilizzatore di tre metri, molto più grande di quello già in dote ai nostri laboratori”. In questo modo, si potrà procedere al restauro del relitto più antico, risalente al II secolo avanti Cristo, già adagiato nei laboratori di Roma dell’Istituto, e anche delle navi che sono state recuperate smontate, oltre alla stesura del progetto per il restauro delle navi recuperate intere. “Il liofilizzatore serve alla disidratazione del legno bagnato sfruttando la sublimazione del ghiaccio”, spiega Antonella Di Giovanni all’agenzia Dire. “Prima della liofilizzazione, però, il legno delle navi deve essere trattato con un consolidante”, aggiunge. Nel caso dei relitti smontati, le esperte hanno scelto il Peg, il polietilenglicole, che serve a consolidare la struttura rivestendo la fibra del legno. “Sì, perché se togliamo l’acqua senza consolidare la struttura, il legno si asciuga, ma perde completamente la forma. Al termine del consolidamento- spiega Di Giovanni- congeliamo il legno per liofilizzarlo, e tutta l’acqua presente diventa ghiaccio senza provocare rotture fisiche, perché il Peg fa sì che il cristallo di ghiaccio non aumenti di volume”.

LA SFIDA MONDIALE

Un protocollo, quello del Peg, già sperimentato e usato il tutto il mondo, dal Giappone all’Italia, passando per la Francia, con cui l’Istituto Superiore ha iniziato una collaborazione proprio per il restauro delle navi di Napoli. Per due giorni, gli scorsi 7 e 8 marzo, l’Istituto insieme al Centre Camille Jullian d’Aix-en-Provence ha chiamato a raccolta studiosi da varie parti d’Europa per confrontarsi sullo studio, la conservazione, il restauro e l’esposizione delle navi antiche. Con il Centro francese l’Iscr lavorerà per il restauro delle altre due navi, quelle che non sono state smontate e che rappresentano la sfida più grande. “Al momento sono ancora in acqua, costantemente monitorate. Il problema è la presenza dei chiodi in ferro e in bronzo, elementi che provocano un ulteriore deterioramento del legno. Non è la prima volta che imbarcazioni così grandi vengono restaurate intere- dice Di Giovanni- ma in passato, tra anni Settanta e Ottanta, è stato usato il Peg da cui sono scaturiti problemi molto importanti proprio per il contatto tra il polietilenglicole e il ferro. Ecco perché per usare il Peg si preferisce smontare gli scafi, eliminare chiodi e perni di ferro e sostituirli con elementi inerti, così da evitare problemi successivi”.

LA SPERIMENTAZIONE

L’obiettivo quindi è individuare una nuova molecola. “Non siamo i primi a provarci, sono in corso tante sperimentazioni in tutto il mondo. Ma è come per le medicine- dicono le esperte- bisogna conoscere i risultati con certezza prima di applicare un nuovo prodotto sui relitti”. Al momento, l’Iscr sta valutando il Trealosio e il Lactilolo, già sperimentati per restauri di oggetti in legno di piccoli dimensioni. “La letteratura ci dice che ha dato dei buoni risultati, ma non si sa come funziona su reperti di grandi dimensioni, ed è quindi necessaria una sperimentazione”. E se gli interventi sui relitti smontati sono iniziati e “tra circa due anni la Soprintendenza potrà esporli al pubblico”, per il restauro delle grandi navi recuperate intere i tempi non si conoscono. Ma una volta ultimato, l’intervento potrebbe regalare un inedito protocollo per salvare le antiche navi che riaffiorano dal mare.

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