Sul numero 102 di luglio 2017 della rivista American Mineralogist, (Open Access, http://www.minsocam.org/msa/ammin/toc/2017/open_access/AM102P1435.pdf ; http://www.nature.com/news/seawater-is-the-secret-to-long-lasting-roman-concrete-1.22231) sono stati pubblicati i risultati degli studi effettuati su calcestruzzi di epoca romana provenienti da diversi siti archeologici Italiani (progetto ROMACONS). Tale pubblicazione ha avuto un grosso impatto, non solo nella comunità scientifica, ma è stata ripresa anche da numerosissime testate giornalistiche in tutto il mondo (eg. Nature, Telegraph, Time, The Washington Post, The Guardian, BBC, Repubblica, Scienze, Focus).
Quindi quale è stato il segreto di questi geomateriali (materiali ottenuti a partire da trasformazioni tecnologiche di prodotti di origine geologica) che ha consentito che le strutture realizzate con essi arrivassero sino ai giorni nostri? Dagli studi mineralogici condotti dalla dottoressa Marie D. Jackson (Dept. of Geology and Geophysics, Utah University, USA), in collaborazione con il professore Piergiulio Cappelletti (DiSTAR, Università Federico II), e con colleghi di altri Atenei stranieri, è emerso che la peculiare composizione di tali calcestruzzi è caratterizzata dalla presenza della Al-Tobermorite, un silicato piuttosto raro e dotato di particolari proprietà tecnologiche, che deriva dalla trasformazione di un altro minerale della famiglia delle zeoliti (la phillipsite) già presente nei prodotti vulcanici dei Campi Flegrei (nel Tufo Giallo Napoletano). Tale minerale si forma a partire da un materiale, sempre di origine vulcanica e tipico dei Campi Flegrei, che sia ai tempi dei romani che attualmente viene impiegato nella tecnologia dei calcestruzzi: la pozzolana, già nota anche a Plinio il Vecchio, che nel suo Naturalis Historia affermava che grazie a questo materiale vulcanico i cementi romani diventassero molto resistenti (“fierem unum lapidem“) anche sott’acqua.
A partire dalla pozzolana (ed altri “ingredienti”, tra cui la calce), attraverso l’interazione con l’acqua di mare, i minerali neoformati hanno fatto si che i calcestruzzi romani avessero una resistenza maggiore col passare del tempo, migliorando le loro prestazioni tecnologiche anziché deteriorarle.