“Una realtà che non conoscevo”, esordisce in questo modo Enzo Raisi coordinatore nazionale di Mit al al convegno sui testimoni di giustizia. ho scoperto questa realtà vedendo la trasmissione di Iacona, ed ho subito ritenuto approfondire il tema. Per questo assieme al coordinamento napoletano dell’associazione abbiamo voluto questa iniziativa. Eroi civili li ha definiti Raisi, che andrebbero aiutati e tutelati dallo Stato.
Uno Stato che non impone la loro presenza nel territorio di appartenenza ha già perso. Il convegno svoltosi nella bella cornice della Distilleria, un ottimo esempio di attrattore culturale privato, è stato introdotto da Roberto Napoli coordinatore Mit Napoli che ha sottolineato l’importanza degli interventi di riqualificazione urbana portati avanti nel rispetto della legalità.
Toccanti e a tratti crude le testimonianze di Carmelina Prisco e Giuseppe Carini, la prima fu testimone di un omicidio avvenuto davanti ad un bar di Mondragone, il suo comune di appartenenza, ha descritto l’incredulità delle forze dell’ordine quando si presentò in caserma per raccontare quanto aveva visto. La Prisco, che con la sua testimonianza ha permesso l’arresto e la condanna degli assassini, appartenenti ad un importante clan napoletano, ha denunciato le vicissitudini del Programma di Protezione ed il comportamento non sempre corretto degli organismi preposti alla sua protezione.
L’impressione avuta, confermata anche dalle altre testimonianze dirette ed indirette, è che per alcuni segmenti dello Stato i testimoni di giustizia rappresentino un peso. Quanto raccontato, non compongono un quadro edificante sulla consapevolezza dello straordinario contributo, non solo per il raggiungimento della verità processuale, ma anche e soprattutto per il contributo dato alla formazione di una coscienza civica, offerto dalla loro testimonianza. Scelta di denunciare ritenuta giusta ora come allora, riaffermata con forza anche da Carini, collaboratore di Don Puglisi e testimone al processo contro i mandanti e gli esecutori dell’omicidio. Lui cresciuto nel rione Brancaccio dove si respirava la cultura mafiosa ha raccontato la sua conversione umana e la determinazione con la quale ha lottato per riaffermare la legalità in quei luoghi. Forza e determinazione trasferita alle battaglie per affermare il ruolo e l’importanza dei testimoni di giustizia.
Una battaglia condotta assieme a giornalisti come Paolo De Chiara autore del libro sulla storia di Lea Garofalo , e a politici come Angela Napoli consulente della Commissione Parlamentare Antimafia. De Chiara ha inteso rimarcare la confusione che ancora esiste fra i collaboratori ed i testimoni di giustizia. Nella vita reale non si fa distinzione. E invece va fatta chiarezza, i testimoni sono persone normali , onesti cittadini che non hanno voltato la faccia da un’altra parte,persone che non hanno nulla da spartire con i pentiti. Angela Napoli nel suo intervento conclusivo ha ribadito il suo impegno a fianco dei testimoni di giustizia.
“Gazzetta” incontra Angela Napoli, consulente della Commissione Parlamentare Antimafia, a “la distilleria” di Pomigliano d’Arco, a margine del convegno organizzato da Mit.
Come nasce l’idea di quest’incontro per discutere del tema dei testimoni di giustizia?
Nasce spontaneamente dopo aver visto la puntata di Presa Diretta che ha riportato a galla la situazione dei testimoni di giustizia. Una figura preziosa per la lotta alla criminalità organizzata ma non sufficientemente tutelata dallo Stato e non supportata dal senso civico delle nostre comunità.
La sua risposta mette in rilievo una scarsa attenzione delle istituzioni dello Stato ed anche delle comunità al tema dei testimoni di giustizia. Cosa andrebbe fatto per farne risaltare il ruolo?
Occorre evidenziare che il testimone di giustizia è una risorsa contro il crimine, nella maggior parte dei casi pur non avendo mai commesso alcun reato, viene trasferita in località protette, lontane dal territorio di appartenenza, lontano dai propri affetti familiari. Troppo spesso non viene adeguatamente supportata rispetto a quelle che sono le necessità, anche per quanto riguarda il cambio di generalità.
Trattamento poco attento dovuto alla negligenza delle autorità preposte alla loro protezione o alle carenze legislative?
Entrambe, gli addetti alla loro sicurezza quasi sempre le trattano al pari dei collaboratori di giustizia, alla stregua di delinquenti alla ricerca di benefici. Una confusione non accettabile. Tengo a precisare che anche gli alibi addotti dallo Stato ogni qual volta vengono denunciate le criticità del programma non sono accettabili. Parliamo di circa ottanta persone, come è facile immaginare le risorse finanziarie necessarie non sarebbero eccessive.
Alla luce della sua esperienza, anche passata, quando ha ricoperto il ruolo di Presidente del Comitato sui testimoni di giustizia istituito nell’ambito della Commissione Antimafia, cosa si dovrebbe fare per rimarcare e tutelare il loro ruolo?
La commissione preposta alla loro tutela dovrebbe esaminare i casi singolarmente, con un’attenzione particolare allo stato psicologico del testimone,aiutandolo anche quando il programma di protezione è terminato. Tutto il percorso dovrebbe essere seguito da un tutor. Una maggiore sicurezza è l’altro tema importante, considerando la possibilità di garantire la protezione nel proprio territorio riaffermando così la forza dello Stato.
Gerardo Sano