DemA vuole offrire un’alternativa ideale e concreta al modello di scuola che si è sviluppato in questi anni, frutto di decenni di riforme ispirate a logiche neoliberiste di quasi- mercato, e del quale l’emergenza Coronavirus ha solo acuito i tratti deteriori già preesistenti
Istruzione, Salute e Lavoro sono tre diritti inalienabili e incomprimibili del cittadino, che devono ricevere oggi la stessa attenzione.
Come demA chiediamo per la scuola una nuova fase costituente, che passi innanzitutto per l’investimento ingente di risorse perché essa ritorni ad avere il mandato che le assegnano gli articoli 3 e 33 della nostra Costituzione.
La scuola, strumento principe di inclusione di cittadinanza, era già stata progressivamente depotenziata. Con l’emergenza Covid è stata “sospesa”, marginalizzata nel discorso pubblico, condannando così milioni di bambini e ragazzi all’invisibilità e alla costrizione dentro le mura domestiche.
La scuola deve ripartire. E non può essere quella che ci hanno confezionato in questi anni. Né quella con la quale la Ministra Azzolina si sta confusamente esercitando dopo averla “sospesa”.
Vogliamo che riparta una scuola autenticamente democratica, orientata e finalizzata all’emancipazione soggettiva e collettiva dei giovani cittadini nella prospettiva del miglioramento delle condizioni esistenti e non nell’adattamento, per giunta privo di garanzie, alla realtà così com’è.
Temiamo che, approfittando del confinamento indotto dal COVID 19, si voglia spingere la società ad una accettazione irriflessiva del modello blended come sostituzione della scuole. Ma l’efficacia degli strumenti digitali, al di là del riconoscimento della loro necessità durante il lockdown, non si misura in modo astratto, come se le piattaforme fossero conduttori neutri. La DAD amplia e rafforza il “mercato globale” dell’istruzione, e acuisce in modo grave le disuguaglianze: questo accade e sta accadendo in molti contesti. La scuola è infrastruttura sociale e culturale, non è solo didattica. E non può soggiacere al capitalismo delle piattaforme, l’unico mercato che di fronte alla crisi attuale sta accumulando infinite ricchezze. Le piattaforme digitali non vanno rimosse, ma ripensate come beni comuni gestite secondo forme democratiche, e non possono sostituire la scuola come luogo fisico di incontro, scambio, valore, profittando dello stato d’eccezione che stiamo vivendo.
Vogliamo coagulare in un fronte unico tutti coloro che non ci stanno a rendere accettabile e più dolce l’inaccettabile. Vogliamo fare nostro l’appello a “disintossicarci” in modo radicale. Come demA chiediamo un pia no pluriennale di assunzioni di insegnanti e operatori scolastici sottratti al bilancino della proporzionalità col numero di alunni, stipati nelle classi dalla riforma Gelmini, ma proporzionali ai bisogni delle comunità territoriali. Non ci ingannano le dichiarazioni della Ministra Azzolina, giacché mentre si annunciano i concorsi, per gli organici stiamo assistendo ancora oggi, in queste ore, in tutta Italia e in particolare al Sud ad accorpamenti di classi, soprannumerarietà di docenti, tagli al personale ATA: controllare per credere. Pensiamo che i piani di dimensionamento e i decreti gelminiani vadano congelati e che sia necessario implementare gli organici con almeno il 10% d personale in più. Costerebbe “soli” quattro miliardi di fronte ai sette destinati nel Decreto Rilancio a grandi gruppi imprenditoriali . Chiediamo investimenti sugli ambienti di apprendimento (spazi, aperti e chiusi, laboratori, aree comuni) immediati e risolutivi, destinati ai Comuni, senza vincoli che ne rallentino l’utilizzo. Un investimento di qualche miliardo, anche qui, non l’elemosina di qualche decina di milioni. Ricordiamo che le scuole, salvo rarissime eccezioni, sono dentro le città, e nulla di quel che le riguardi, spazi, orari e ritmi, può essere letto a prescindere dal fatto che tutta la città ne è coinvolta. Per questo i Comuni dovrebbero essere interlocutori privilegiati, mentre nel Decreto Rilancio Comuni e scuole ricevono pari trattamento, ovvero le briciole. Denunciamo questo scandalo.
Chiediamo che l’assunzione di responsabilità nei confronti delle misure sanitarie e contenitive del virus non pesi solo sulle dirigenze scolastiche, lasciate esposte allo scontro con i genitori, ma sia condiviso da chi governa gli asset organizzativi attraverso la fornitura non solo di fondi per i dispositivi di prevenzione, ma di risorse specialistiche e una rivisitazione del D.lgs 81 del 2008, che blocca le energie di tanti lasciando il governo dei processi alla paura.
Chiediamo un investimento sulle risorse per l’assistenza ai disabili che, in deroga alle limitazioni precedenti, stabilisca un rapporto 1:1 tra operatori e allievi con disabilità, perché mai come in questo momento la personalizzazione dei percorsi scolastici deve colmare nuove distanze.
Chiediamo che lo 0-6 smetta di essere considerato un servizio alla famiglia, non obbligatorio, ma riceva la dignità di segmento educativo essenziale sottratto ai vincoli della spesa cui sono assoggettati i Comuni: la scuola dell’infanzia e gli asili nido sono destinati al bambino-persona, che ha uguali diritti sin da quando nasce.
Chiediamo che venga data la possibilità alle autonomie delle scuole e alle autonomie dei territori di coniugarsi in alleanze virtuose, che producano concrete azioni di lotta alla disuguaglianza, affidando a livello locale non solo la raccolta dei bisogni, ma i mezzi economici per rispondere alla povertà educativa e il coordinamento di piani di sviluppo di reti educative e culturali con al centro le scuole, presidi di democrazia e pari opportunità.
L’orizzonte culturale di riferimento della nostra idea di scuola non sarà né vuole essere localistico o di parte, o di gruppo o di etnia, ma vuole tendere a valori universali, valorizzare il piacere di stare insieme, conoscere e imparare in sé rispetto all’attesa del premio o della punizione, del voto o della bocciatura.
Questi e altri presupposti dell’educazione democratica devono trovare concretezza nelle prossime scelte politiche e nelle pratiche, a partire da oggi e in prospettiva per il dopo-Covid. Stanchi delle retoriche, come demA chiediamo di riportare la scuola al posto che le compete di diritto: nel cuore della vita e dello sviluppo del Paese.