Scarcerazioni mafiosi: il decreto Bonafede finisce dinnanzi alla Corte Costituzionale e Zagaria resta in detenzione domiciliare.

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dal Prof. Vincenzo Musacchio, docente di diritto penale, riceviamo e pubblichiamo

Lo avevamo detto e scritto il giorno dopo la sua emanazione che il decreto Bonafede sulle scarcerazioni fosse minato da palesi illegittimità costituzionali. I punti considerati illegittimi riguardano ovviamente la lesione del diritto alla difesa (art. 111 Cost.) e l’ingiustificata distinzione tra “reati gravi” e “meno gravi” (art. 3 Cost.). La troppa fretta, spesso, nuoce. Il decreto “Bonafede”, fatto sull’onda emozionale dello scandalo “scarcerazioni” di detenuti macchiati anche di delitti di stampo mafioso, finisce dunque come era facilmente prevedibile dinnanzi alla Corte Costituzionale. Lesione del diritto della difesa e disparità di un procedimento privo di garanzie solo per gli autori di specifici reati. A sollevare la questione alla Consulta è giustamente un magistrato di sorveglianza del Tribunale di Spoleto tramite una ordinanza che  solleva proprio due punti critici. Il diritto alla difesa non contemplato dal decreto sarebbe in contrasto con la Costituzione perché non consente alla difesa di interloquire visto che si tratta di un provvedimento urgente di revoca di quello precedentemente assunto, senza nemmeno conoscere il contenuto delle note del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che hanno determinato tale revoca. Per comprendere meglio, bisogna spiegare cosa prevede il decreto legge Bonafede. L’articolo 2 prevede che “quando un condannato per uno dei delitti indicati (associazione per delinquere di stampo mafioso e reati di terrorismo) è ammesso alla detenzione domiciliare o usufruisce del differimento pena per motivi connessi all’emergenza Covid-19, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato tale provvedimento, acquisito il parere del procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine dei quindici giorni dall’adozione del provvedimento e , successivamente, con cadenza mensile”. “La valutazione è effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dap comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare”. In quel caso il magistrato di sorveglianza può decidere di revocare la misura e il provvedimento è immediatamente esecutivo. Ma qui c’è il problema della lesione del diritto alla difesa. Il procedimento si sviluppa senza spazi di adeguato formale coinvolgimento della difesa tecnica dell’interessato, senza alcuna comunicazione formale dell’apertura del procedimento e con una conseguente carenza assoluta di contraddittorio, rispetto alla parte pubblica. Ma non solo. Nel decreto Bonafede non è previsto che alla difesa sia data contezza dei risultati istruttori e la stessa è privata della facoltà di confrontarsi con i contenuti delle note pervenute: non può ad esempio sapere dove il Dap ritenga che cure adeguate possano essere svolte in favore dell’assistito e in quale modo. Non può verificare se queste cure siano le stesse che i medici dell’interessato considerano efficaci e risolutive. Non può confrontarle con quelle che, in ipotesi, abbia già intrapreso durante il periodo trascorso in detenzione domiciliare. Non può, soprattutto, prendere atto dei contenuti del parere della parte pubblica, che invece ha potuto leggere l’intera istruttoria pervenuta e svolgere autonomi approfondimenti istruttori, e quindi la difesa non può fornire al magistrato di sorveglianza le proprie repliche. “L’intervento della Procura antimafia, mediante il suo parere – scrive il magistrato di sorveglianza di Spoleto nella sua ordinanza – ed in assenza di una piena interlocuzione con la difesa dell’interessato, appare contraddistinguere della più marcata atipicità la procedura, tanto da non aver eguali nel pur variegato panorama di modelli procedimentali, più o meno semplificati, previsti dinanzi alla magistratura di sorveglianza”. Il problema è evidente. Prima il provvedimento provvisorio di concessione prevedeva espressamente che la posizione del detenuto sarebbe stata valutata, ed eventualmente confermata, dinanzi al tribunale di sorveglianza in pieno contraddittorio delle parti. Oggi, invece, con il decreto Bonafede, una rivalutazione avviene senza che il detenuto stesso e la sua difesa abbiano preso cognizione dei contenuti istruttori raccolti e soprattutto del parere obbligatorio richiesto alla procura distrettuale antimafia, e senza aver potuto adeguatamente interloquire in modo conseguente. Direi un assurdo giuridico senza eguali. L’altro punto è la differenziazione di trattamento a seconda i reati. Qui si violerebbe come è facile arguire l’articolo 3 della Costituzione perché solo per alcuni autori di reato, con scelta della cui ragionevolezza dubita il giudice remittente, si prevede un procedimento meno garantito. Il tribunale di sorveglianza di Sassari aggiunge ancora altro. Il tribunale, nell’esercizio dei suoi poteri, discrezionali, aveva operato un bilanciamento tra ragioni di sicurezza e diritti del detenuto a curarsi, e aveva concesso i domiciliari sottoposti a un determinato termine di durata. Adesso, argomentano giustamente i magistrati, sulla base del decreto, il detenuto si trova esposto a un regime di rivalutazioni che, oltre a non essere rispettoso del termine giudiziale, contiene preoccupanti aspetti di limitazione della sfera di competenza dell’autorità giudiziaria e una riduzione della tutela dei diritti fondamentali della persona umana che contrasterebbe con il dettato della Costituzione. Il procedimento è di fatto sospeso e Zagaria resta dunque ai domiciliari. Al danno si aggiunge la beffa.

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

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