Andai in tarda mattinata a casa di Giuseppe Patroni Griffi che non era solito alzarsi prima delle undici. Abitava in un antico palazzo di via Margutta, accanto a piazza di Spagna a Roma.
Mentre salivo le scale, sapevo che avrei avuto di fronte un monumento nazionale. Scrittore,
commediografo, regista teatrale e cinematografico era sicuramente un uomo poliedrico e geniale.
Mi venne ad aprire una signora, la sorella Wanda, che abitava proprio nell’appartamento accanto, che mi disse che il fratello sarebbe arrivato di lì a qualche minuto e, nel frattempo, mi portò un caffè e qualche biscottino.
Dopo un quarto d’ora abbondante entrò Patroni Griffi.
Era molto elegante e aveva un ottimo profumo che si diffuse in tutto il salone. Immediatamente si rivolse a me in modo confidenziale e, nonostante vivesse a Roma ormai da molti anni, il suo accento era assolutamente napoletano.
Mi chiese subito se volessi del cioccolato. Mi spiegò che era la sua droga e ne aveva di tutti i tipi.
Poi ci sedemmo e mi raccontò di quando da ragazzo frequentava il Liceo Umberto a Napoli insieme ai suoi amici cari come Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Giorgio Napolitano ed altri. Amici che, nel tempo, erano stati il suo investimento.
Credeva che fosse un sentimento forte come l’amore e che quest’ultimo, comunque, potesse trasformarsi in amicizia.
Mi disse anche che aveva amici con cui si incontrava tutte le sere.
Tra un discorso e un altro mi richiese se volessi del cioccolato e, alla mia risposta negativa, si alzò e andò ugualmente a prenderne per sé.
Finalmente mi misi al lavoro e feci molti scatti in cui era sempre presente una sigaretta, quasi fosse un prolungamento della sua mano.
Appena ne finiva una, immediatamente ne accendeva un’altra.
Per fortuna io sono un fumatore e l’odore di fumo che si mescolava al suo profumo invadendo la stanza non mi dava alcun fastidio; in verità ne approfittai fumando anch’io.
Realizzai una prima foto in polaroid manipolata che poi pubblicai nel mio libro ‘Trentuno napoletani di fine secolo’, edito da Electa Napoli nel 1995, sfruttando proprio questa sua ulteriore esperienza sensoriale dopo il cioccolato.
Misi infatti in relazione la sua sigaretta con quella che aveva in mano la signora del manifesto anni ’30 alle sue spalle.
Poi feci alcuni ritratti in bianco e nero, concentrandomi maggiormente
sul suo viso e sulla sua espressione.
Dopo un’oretta, accompagnandomi alla porta, mi domandò: “Ma sei sicuro che non ti vuoi portare un po’ di cioccolato?” Io gli risposi: “Giuseppe, la prossima volta ti porto io da Napoli un magnifico pezzo di cioccolato foresta della Gay-Odin”.
Lui annuì, facendomi un grande sorriso, mentre gli occhi gli brillarono…