Economia circolare, principi e pilastri.

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di Angelo Ionta

Per passare dall’Economia Lineare, quella che genera rifiuti – utilizza energia da fonti inquinanti non rinnovabili (come gas, carbone, petrolio) ed assottiglia le riserve di materie prime, a quella Circolare (definita come quella che “…soddisfa i bisogni della società presente, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri…”) occorre produrre beni ed attuare processi lavorativi rispettando quattro “principi”, che sono i cardini su cui si basa questa rivoluzione produttiva, peraltro, auspicata e fortemente voluta e finanziata dell’Unione Europea.

Nel dettaglio questi sono: 1° la multi-impiegabilità di un bene (quando questo viene progettato occorre prevederne il suo riutilizzo una volta che ha terminato il suo ciclo, esempio il copertone di un’auto quando ha percorso i suoi chilometri va polverizzato per diventare un pannello insonorizzante o coibentante); 2° la poliedricità (lo stesso bene, una volta che ha terminato il suo uso, si riconverte in elemento d’arredo, prevedendo a priori la possibilità di poter essere smontato, riutilizzato e riciclato senza difficoltà), 3° utilizzo di energie rinnovabili (occorre abbandonare i combustibili fossili, che sono inquinanti e con scarti non riutilizzabili, per passare alle Energie rinnovabili, quelle che presentano la caratteristica di essere inesauribili e non inquinanti, tra queste l’energia solare, eolica, idroelettrica e marina); 4° riutilizzo di materie riciclate al posto di utilizzare materie prime, senza così depauperare le risorse naturali (un esempio è la busta del supermercato prodotta con gli scarti differenziati, anziché dal petrolio. Stessa cosa per libri e giornali, carta riciclata invece di carta prodotta da cellulosa che comporta l’abbattimento di alberi).

Sino ad oggi il flusso di estrazione e dismissione di materia ha causato effetti ambientali dannosi, come la contaminazione dei mari e della terra, il dramma dei rifiuti, le emissioni di gas serra responsabili del cambiamento climatico e forti diseguaglianze sociali. Dai quattro principi si evince che il nuovo corso prevede un’economia che rigenera se stessa, dove i materiali e gli scarti della produzione, sia biologici che tecnici, possono essere nuovamente valorizzati e utilizzati, senza disperderli nell’ambiente, così da renderli a impatto zero o quasi. Oggi la nostra produzione di beni e servizi è totalmente fondata sull’iper-sfruttamento delle risorse naturali, trend che non potrà continuare nel futuro per: l’aumento della popolazione; la diminuzione delle materie prime; l’aumento della temperatura terrestre, l’inquinamento di aria, terra ed oceani. Tutto ciò obbliga a rivedere tutte le fasi produttive, per minimizzare l’impatto sull’ambiente, fino ad azzerarlo. A similitudine di internet (che nella sostanza è conoscenza condivisa), anche per l’Economia circolare, tutti i nuovi processi sono resi noti e messi a disposizione della collettività. Per citare un esempio, alla fine del 2017 è stato creato in Italia “l’Atlante dell’Economia Circolare”, una piattaforma web interattiva che raccoglie le esperienze virtuose di economia circolare in ambito nazionale. Inoltre, ci sono Atlanti che riportano altri casi di processi virtuosi, come ad esempio la carta prodotta: con le alghe infestanti la laguna di Venezia; con gli scarti agro-industriali; con i residui di lavorazione della pelletteria e del cuoio.

I precursori del modello di sviluppo alternativo all’economia lineare sono l’architetto Walter Stahel, il fisico Amory Lovins, i designer McDonough e Braungart e l’economista green Nicholas Georgescu-Roegen, persone che hanno elaborato processi lavorativi alternativi, per fermare lo spreco di materia e l’inquinamento, attuando nel contempo una produzione efficiente, basata su riciclo, eco-design e prevedendo l’utilizzo energie derivanti da fonti rinnovabili. Dai principi sopra descritti si possono allora delineare quali sono i pilastri su sui si fonda l’Economia circolare, ovvero: 1° riscoprire i giacimenti di materia scartata come fonte di materia “prima seconda”, limitando quanto più possibile il suo processamento al momento dello scarto; 2° fine dello spreco di un prodotto (unused value), invece di usare un bene solo una volta, per poi abbandonarlo in cantina, prevederne un uso condiviso con altri consumatori, creando così processi commerciali dove invece di possedere un oggetto lo si usa come servizio (product-as-a-service).

Tipico esempio è quello del car-sharing. Un’auto di proprietà viene usata per circa il 4% del suo tempo-vita. Le auto e scooter condivisi invece vengono usati per oltre il 45% del loro tempo vita. Altre società commerciali condividono strumenti di lavoro, come attrezzature tech e hardware, stampanti 3D e laser o utensili industriali vari. Si paga a consumo e in aggiunta ci sono servizi di assistenza e progettazione. 3° fermare la morte prematura della materia: la dismissione di materia perfettamente sana. Infatti, spesso a rompersi o guastarsi è solo una parte di un oggetto, mentre le restanti componenti rimangono perfettamente funzionanti. Oppure è la moda a dichiarare morto un vestito o un oggetto di design. Occorre riparare, upgradare, rivedere le pratiche di obsolescenza programmata, così da limitare lo sperpero di materia. È stato ideato un cellulare secondo questo parametro, un telefono che garantisce la sua longevità e riparabilità per massimizzarne la vita media, con controllo totale sulle modifiche, upgrade e riparazioni. Quando si vuole una fotocamera o un processore più performante, invece di cambiare cellulare, si può cambiare solo un pezzo.

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