Il gruppo internazionale di ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, coordinati da Daniele Iudicone, Mariella Ferrante, Alberto Amato e Maurizio Ribera d’Alcalà, ha progettato e costruito, in collaborazione con la M2M Engineering di Napoli, uno strumento in grado di generare e simulare la microturbolenza marina, denominato TURBOGEN (TURBulence GENerator). Grazie ad esso, gli studiosi della SZN hanno dimostrato che diverse specie di diatomee percepiscono e rispondono alla microturbolenza marina.
Sappiamo che tutti gli organismi marini sono soggetti al movimento turbolento delle masse d’acqua, siano essi correnti o moto ondoso. Tuttavia, mentre la maggior parte degli animali più grandi, come i pesci, possono contrastare questo movimento con la loro forza muscolare, il mare resta l’unico agente capace di decidere i movimenti di moltissimi dei suoi abitanti. Gli organismi al di sotto di determinate dimensioni si spostano nell’acqua di mare come se fossero immersi in un barattolo di miele: la viscosità del mezzo in cui sono immersi resta più “forte” dei moti turbolenti dell’acqua stessa. La scala attraverso cui avviene questo fenomeno, cioè le dimensioni sotto le quali i vortici attorno ad un corpo si dissipano, è detta Scala di Kolmogrov.
Al di sotto di queste dimensioni (circa un millimetro in mare), le particelle d’acqua non riescono più a muoversi in maniera caotica e l’energia viene dissipata sotto forma di calore. Le diatomee sono alghe unicellulari fotosintetiche diffusissime nel fitoplancton, le cui microscopiche dimensioni sono al di sotto della Scala di Kolmogrov. Sebbene molto studiate, sono sempre state considerate delle “particelle inerti” (“attori passivi”) che non interagiscono con il fluido viscoso. Di fatto, le immaginiamo come delle bellissime scatoline di vetro sospese nel mare. Con i recenti studi, si sono superate alcune convinzioni, precedentemente acquisite. Gli esperimenti hanno aperto nuovi scenari sulla relazione delle microalghe con l’ambiente in cui vivono. Infatti, le diatomee possono percepire la microturbolenza e sono in grado di reagire attivando una serie di geni dedicati alla percezione ambientale e rispondono ad essa cambiando forma. Inoltre, queste microalghe sembrano interpretare la presenza della turbolenza come un disturbo, “pericolo” che potrebbe allontanarle dalla luce solare e quindi dalla loro fonte di nutrimento. Dunque, appena una diatomea percepisce la presenza di una turbolenza, inizia a produrre delle riserve di “cibo” rappresentate da “acidi grassi” che, non solo funzionano appunto come “scorte e riserve di nutrimento”, ma potrebbero aumentare il galleggiamento della cellula, riportandola quindi in superficie più rapidamente.
Simulando il mescolamento prodotto dalle tempeste, grazie alla nuova strumentazione del “TURBOGEN”, si è compreso che, anche se piccolissime, traggono vantaggio dall’essere agitate anche se il cibo è diventato scarso nell’acqua. Queste scoperte, pubblicate su Scientific Reports, aprono nuovi ed inattesi orizzonti sull’ecologia del fitoplancton e quindi su un campo importantissimo della biologia marina, tenendo presente che le alghe planctoniche producono almeno il 50% dell’ossigeno che respiriamo e sono vitali per la sopravvivenza non solo dell’ecosistema marino, ma dell’intero pianeta. Le recenti novità osservate potrebbero avere importanti implicazioni per ottimizzare la crescita delle microalghe nei bioreattori nell’ambito delle applicazioni biotecnologiche.