Nell’Oceano Pacifico un continente fatto di rifiuti.

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Tra i dipinti della serie “News Art”, un anno fa ASLI ha realizzo il dipinto Trashvortex, acrilico su tela 100×50 cm. Il dipinto riporta una nuova superficie, grossa quanto un continente appunto, posizionata al largo della California, nell’oceano Pacifico.

Nella sua bandiera due portatori trasportano la formula chimica del PCB, su fondo rosso. Anche il Logo Olimpico è stato aggiornato. Ai cinque vecchi continenti si è infatti ora aggiunto l’ultimo arrivato, il sesto continente, rappresentato da un vecchio copertone che, per il suo peso, deforma tutti gli altri. Il dipinto di ASLI tratta dell’accumulo di spazzatura oceanica, grande circa 1,6 milioni di kmq, oltre due volte la superficie della Francia. Quest’isola, situata nell’Oceano Pacifico, approssimativamente fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord, è sotto osservazione dalla fine degli anni ’80, la Great Pacific garbage patch (altro suo nome) continua a crescere in maniera esponenziale. Questa vasta distesa galleggiante, fatta soprattutto di plastica, dalle foto satellitari appare come una gigantesca chiocciola, per il movimento a spirale in senso orario dovuto delle correnti marine che insistono in quelle parte di mare, corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico (North Pacific Subtropical Gyre).

Si stima che questa nuova porzione di superficie sia abitata da cento milioni di tonnellate di detriti vari e che annualmente riceva, come valore incrementale, all’incirca 8 milioni di tonnellate di sola plastica. Occorre precisare poi che questo punto di accumulazione di sporcizia galleggiante non è unico, ma nel mondo almeno altri otto di questi continuano ad accrescere la loro superficie, tanto che entro la metà del secolo con questo trend, nel mare vi saranno più pezzi di plastica che pesci. Solo nel Mediterraneo secondo i dati del WWF, ogni anno finiscono 570 mila tonnellate di plastica, che tradotte sono 33.800 bottigliette di plastica al minuto. Annualmente, la plastica prodotta nel mondo è di circa 335 milioni di tonnellate, di cui si stima che circa l’80% finisca in discarica o nell’ambiente. I rifiuti di origine biologica sono biodegradabili, la plastica purtroppo no, questa si foto-degrada, si disintegra in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, arrivando al citato PCB riportato nella bandiera del dipinto, la pistola fumante del fenomeno. La fotodegradazione della plastica produce inquinamento, il PCB, il policlorobifenile, sostanza purtroppo ricca di cloro. La formula è C12H10-xClx, altamente inquinante e tossico, avvicinandosi per pericolosità alla diossina.

Se allora l’isola galleggiante di plastica è il contenitore di vetro contenente il veleno, il PCB è l’ago che ce lo spara in vena. Questo perché il PCB assume una forma filamentosa, gemella del plancton, l’alimento dei pesci. Il galleggiamento delle particelle plastiche ne induce l’ingestione da parte degli animali planctofagi, ovvero della maggior parte dei pesci, gli stessi pesci di cui ci nutriamo. Per questo motivo la plastica è ormai presente nella catena alimentare. Già nel 2001 il rapporto tra la quantità di plastica e quella dello zooplancton (l’alimento naturale dei pesci) era di sei parti di plastica per ogni parte di zooplancton. Ma non bisogna mollare, mai. La stessa cosa pensata dall’olandese Boyan Slat che, grazie alla sua tecnologia ha iniziato a raccogliere plastica nel Pacifico attraverso “The Ocean Cleanup”, organizzazione senza scopo di lucro, il cui obiettivo è la pulizia degli oceani, la ramazza per togliere l’inquinamento prodotto dalla plastica gettata in mare. L’ingegnosa macchina, pensata da Slat nel 2012 all’età di 18 anni ed entrata in funzione con successo nella scorsa estate, consiste in una lunga barriera galleggiante, costituita da un grosso tubo di gomma legato a un’ancora in grado di scendere fino a 600 metri di profondità. Il tubo in questione, aprendosi e sfruttando le forze naturali dell’oceano, crea una sorta di insenatura artificiale, dove vengono convogliati, trattenuti e poi raccolti i rifiuti che galleggiano sulla superficie dell’acqua, dai quelli grandi sino a quelli di piccolissime dimensioni come le microplastiche grandi 1 mm. Ma a conferma che è sempre l’uomo la vittima ed il carnefice di se stesso, a causa dell’emergenza CoViD 19 i nostri mari sono già infestati da mascherine per uso chirurgico e guanti di lattice, i dispositivi di protezione individuale (dpi) ormai oggetti, anche griffati, del nostro quotidiano. Tradotto in tonnellate, se non gestiamo bene lo smaltimento dei dpi, rischiamo di trovare a galleggiare sui mari un miliardo di mascherine, ovvero altre 4mila tonnellate di plastica. L’Acqua ed i mari hanno memoria lunga, infatti, la bottiglietta che lancio dalla barca potrebbe essere ritrovata a galleggiare da mio nipote, ad ottanta anni di distanza. Dobbiamo far tesoro delle statistiche stilate sui vincitori di ingenti somme alle lotterie, il 90 per cento di questi purtroppo finisce in miseria. Noi cittadini del mondo facciamo in modo di essere il restante 10% dei vincitori, quei giocatori che senza un euro hanno vinto il pianeta Terra.

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